Le 5 bugie del magistrato che ha scagionato Carola Rackete

La capitana è stata giustificata in punta di diritto «per aver agito in adempimento di un dovere». Ma la realtà è diversa. Ecco le menzogne smascherate di una impunità che da oggi diventa umanitaria.

Le 5 bugie del magistrato che ha scagionato Carola Rackete

Alessandra Vella, classe 1975, è il giudice per le indagini preliminari che ha assolto la comandante della Sea Watch, Carola Rackete, dalle accuse che le erano state mosse contro, in nome di una impunità umanitaria dietro cui si nascondono loschi giochetti politici ed economici. La capitana, infatti, è stata giustificata dalla giudice “per avere agito in adempimento di un dovere”, ovvero far sbarcare i migranti in Italia.

Ma le cose stanno davvero così? Sembrerebbe proprio di no, almeno stando a quanto è stato rivelato dal quotidiano Il Giornale che ha smascherato cinque bugie, degne del miglior Pinocchio, imputabili al magistrato in questione. 

1. Si è trattato di un soccorso o di un recupero?

Il giudice Vella ha dato per scontato che il gommone individuato dall’aereo delle Ong, Colibrì, decollato da Lampedusa, rischiava di affondare da un momento all’altro e quindi andava salvato. “Era un gommone in condizioni precarie e nessuno aveva il giubbotto di salvataggio, non avevano benzina per raggiungere alcun posto”, ha detto Carola, “l’eroina” della sinistra.

In realtà, da una foto scattata dalla stessa Sea Watch, si vede chiaramente che i tubolari del gommone erano gonfi e a bordo c’erano diversi serbatoi usati per il carburante. Il che pone una domanda cruciale: quella della Sea Watch è stato un salvataggio o un recupero, magari concordato con gli stessi scafisti che hanno segnalato alla nave dove si trovavano i migranti?

2. La Tunisia non è un porto sicuro

La Tunisia si trovava più vicino a Lampedusa nel momento del salvataggio. Eppure la comandante si è diretta in Italia non prendendo nemmeno in considerazione l’ipotesi di dirigersi verso il porto di Tunisi. Il gip Vella l’ha giustificata affermando che la Tunisia, al pari della Libia, non può essere considerata un porto sicuro per far sbarcare i migranti.

Anche qui la giudice mente, perché è risaputo che la Tunisia ha firmato la Convenzione sul Salvataggio in Mare e quella di Ginevra sui Diritti dell’Uomo. Inoltre, bisogna tener contro che ogni anno 5 milioni di turisti ci vanno in vacanza. Ci andrebbero se non fosse una nazione sicura? Possibile che non fosse sicura solo per i profughi?

3. Carola poteva violare il blocco

La giudice Vella sostiene che la decisione di violare il blocco imposto dal Viminale sia giustificata dalla necessità di prestare soccorso e assistenza allo straniero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare”. Quindi, la capitana poteva forzare il posto di blocco perché a bordo della nave la situazione era disperata.

Peccato, però, che anche in questo caso la giudice abbia detto una bugia, dato che anche la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo non aveva riscontrato stati di necessità a bordo della Sea Watch, che tra l’altro stava ricevendo rifornimenti alimentari e assistenza medica ogni giorno, mentre i profughi più gravi erano già stati fatti sbarcare e presi in cura dai sanitari italiani.

4. Carola ha fatto il suo dovere

Le accuse di violenza e resistenza nei confronti dei finanzieri a bordo della motovedetta, che fino all’ultimo hanno tentato di fermare la Sea Watch, vengono smontate. Non trattandosi di navi da guerra, l’accusa di violenza contro una imbarcazione militare è caduta. Anzi, sarebbero stati i finanzieri a ostacolare la manovra, rischiando addirittura di essere denunciati loro e non la comandante.

Il gip però ammette che la manovra della capitana era “pericolosa e volontaria seppure calcolata”, il che vuole dire che la Rackete ha cercato volutamente lo speronamento, ma che non può essere punita perché l’indagata ha agito “in adempimento di un dovere”, far sbarcare i migranti in Italia. In altre parole, se fosse morto qualche finanziere, sarebbe stato poco importante, perché contava salvare i migranti.

5. I libici non sono intervenuti

Il gip accusa la guardia costiera di Tripoli di essersi allontanata senza dare indicazioni al comandante della Sea Watch 3 su come comportarsi nel momento del salvataggio dei profughi. Anche questo non è vero. La capitana, infatti, ha ammesso con una mail inviata il 12 giungo a tutti i centri di soccorso dell’area che i marinai libici l’avevano contattata via canale 16 Vhf, cercando di recuperare i migranti sui gommoni, mentre lei li ha anticipati, caricandoli in fretta e furia sul natante e portandoli felice e faceta in Italia.

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