Facebook: maxi multa, campagna di phishing, etichette privacy di Apple

Dopo aver deliziato gli utenti con alcuni promettenti aggiornamenti, l'incipit di Facebook Inc non è proseguito altrettanto bene, con Menlo Park alle prese con multe, campagna di phishing anche via ads, e troppi dati richiesti agli utenti.

Facebook: maxi multa, campagna di phishing, etichette privacy di Apple

Mala tempora currunt per Facebook Inc, col colosso dei social network che, tra un aggiornamento e l’altro, è stato condannato per aver copiato un’app italiana, risultando poi coinvolto anche in un problema di sicurezza e in una sorta di scandalo in ottica privacy.

Già condannata in primo grado a un risarcimento di 350 mila euro, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione di Milano, è stata portata a poco più di 3.8 milioni di euro l’entità della sanzione, comminata a Facebook, per avere copiato (mediante la funzione Nearby) l’app Faround, sviluppata dall’italiana Business Competence, sita in Cassina De’ Pecchi, grazie alla quale, mediante GPS, gli utenti potevano scoprire quali locali, negozi, e ristoranti di proprio interesse vi fossero nei paraggi, consultandone anche le recensioni fornite da terzi. 

Piove sul bagnato a Menlo Park che, dopo la maxi multa di cui sopra, secondo la security house ThreatNix, è rimasta coinvolta in una campagna di phishing che ha sottratto le credenziali di oltre 615mila utenti in vari paesi (tra cui Nepal, Pakistan, Filippine, Egitto). Il tutto, ben organizzato, avveniva mediante pagine localizzate, post, e ads che rimandavano, via url accorciati, a pagine inizialmente innocue poi sostituite con landing page fasulle: queste ultime, rinvenute in alcuni archivi di GitHub, caricate su GoDaddy, facevano sì che gli utenti, convinti di loggarsi su pagine autentiche, inviassero in realtà le loro credenziali ai malintenzionati autori della truffa. 

Era lo scorso Aprile quando Apple, nel tentativo di preservare la privacy degli utenti che scaricano applicazioni per Mac, iPhone, Apple TV, iPad, e Apple Watch, ha introdotto delle etichette informative (cui di recente ha aderito anche Google), che informano su quali dati vengano raccolti (e per farne cosa). Facebook, nelle scorse settimane, anche attraverso una pagina pubblicata sul Financial Times, aveva protestato a tal riguardo, sostenendo come tale prassi danneggiasse le piccole imprese, che sovente si rivolgevano agli strumenti pubblicitari di Menlo Park per raggiungere nuovi partner, dipendenti, clienti: l’inchiesta, condotta da Forbes, e rendicontata da 9to5Mac, ha permesso di appurare come, dietro le rimostranze di Zuckerberg, vi fosse (anche) altro.

Messe a confronto diverse app popolari di messaggistica, è risultato come, a parte Signal, che richiede solo il numero di telefono senza collegarlo all’identità dell’utente, WhatsApp e Facebook Messenger (in particolare la seconda, che – tra l’altro – non implementa di default la crittografia end-to-end) raccolgano una quantità enorme di dati collegati all’utente (es. nome, sesso, età). 

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