Carola Rackete, la comandante della Sea Watch che si trova davanti alle coste di Lampedusa dopo aver forzato il blocco imposto dal Viminale, ha provato a fare anche adesso lo stesso giochino: senza autorizzazione a sbarcare, si è avvicinata ulteriormente al porto di Lampedusa, prima che la guardia di finanza la fermasse in tempo utile.
La Rackete però non si arrende e, incoraggiata dalle manifestazioni di solidarietà e di elogio da parte dei buonisti, è intenzionata a sfidare ulteriormente la legge italiana: starebbe infatti organizzando uno sbarco per i migranti utilizzando due gommoni, così da permettere ai 42 profughi di raggiungere il porto siciliano in barba a qualsiasi divieto italiano.
I legali della Ong, intanto, hanno presentato un esposto alla Procura di Agrigento, chiedendo di valutare la “sussistenza di eventuali condotte di rilevanza penale, poste in essere dalle autorità marittime e portuali preposte alla gestione delle attività di soccorso e di adottare tutte le misure necessarie a porre fine alla situazione di gravissimo disagio a cui sono attualmente esposte le persone a bordo della nave”.
In altre parole, sarebbe adesso il governo italiano ad aver commesso condotte penalmente rilevanti e non la Ong che ha forzato un posto di blocco dopo che anche la Corte Europea le aveva vietato di entrare in acque italiane. Il braccio di ferro sullo sbarco non è ancora finito, e sicuramente riserverà ulteriori colpi di scena, con Salvini che non intende cedere a una nave che ha definito “pirata“.
Una definizione pronunciata anche dal giornalista Gian Micalessin, secondo cui la Sea Watch ha calato la maschera e issato la sua vera bandiera. Quella della pirateria umanitaria. Una pirateria che, al pari delle navi corsare al servizio degli Stati nazionali del XVII secolo, non agisce per fini propri, ma per soddisfare gli interessi di nuove entità sovranazionali poco disposte a metterci la faccia.