Pensioni anticipate e Quota 100: ecco perché le donne faticano ad accedere

Gli ultimi dati sulle nuove pensioni flessibili tramite la Q100 evidenziano il successo dell’operazione, ma i vincoli contributivi continuano a rendere poco praticabile l’opzione per le donne.

Pensioni anticipate e Quota 100: ecco perché le donne faticano ad accedere

L’Inps ha comunicato nella giornata di ieri il raggiungimento dell’importante traguardo delle 100mila richieste di uscita dal lavoro tramite la quota 100; se i numeri dimostrano l’elevato interesse generale per l’opzione restano le difficoltà di accesso per le donne. Le stesse statistiche indicano infatti che, ogni 10 domande di quiescenza tramite la nuova opzione, solo 3 risultano riconducibili al genere femminile.

Un divario importante e che va a penalizzare ancora una volta una parte della platea che già subisce un gender gap durante la fase lavorativa, con stipendi inferiori e difficoltà a mantenere la continuità del rapporto in virtù di eventi come la maternità e dell’impegno nel lavoro di cura verso i familiari. Purtroppo proprio queste peculiarità della fase attiva rischiano di andare a creare importanti difficoltà anche quando arriva il momento di richiedere l’agognato assegno pensionistico.

Uscite flessibili e quota 100 e la difficoltà per le donne

Individuare perché la maggior parte delle domande di pensionamento tramite quota 100 sia riconducibile agli uomini risulta abbastanza semplice: il problema è dato non tanto dal parametro anagrafico, fissato ad almeno 62 anni di età, quanto da quello dell’anzianità di contribuzione.

Per poter inoltrare la propria domanda di pensionamento flessibile, le lavoratrici devono aver maturato almeno 38 anni di versamenti, quando la media di contributi presenti a 60 anni per la categoria si attesta attorno ai 25 anni. La soglia risulta quindi irraggiungibile per molte lavoratrici, che di fatto si vedono calcolare un montante più basso nonostante il lavoro di cura o di contratti continuativi ma part-time.

Il Governo ha cercato di porre parziale rimedio con diversi interventi, che finora però non sono risultati risolutivi nel riequilibrare effettivamente la situazione. Basti pensare che le alternative più vicine per poter ottenere la quiescenza sono entrambe connotate da una penalizzazione nell’assegno. E’ il caso dell’APE volontario, che permette l’uscita dai 63 anni di età e con un minimo di 20 anni di versamenti, ma al costo di una rata di prestito ventennale in decurtazione del futuro assegno. Oppure dell’opzione donna, che prevede il pensionamento con 35 anni di versamenti (anziché 38), ma al prezzo di un ricalcolo interamente contributivo e quindi di una decurtazione a doppia percentuale sulla futura pensione.

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