Filippo Turetta, noto per la vicenda legata a Giulia Cecchettin, è stato recentemente coinvolto in un episodio di violenz@ all’interno del c@rcere di Montorio, a Verona. A fine agosto, il detenuto Cesare Dromì lo ha colpito con un pugno al volto, provocandogli la rottura del labbro. L’episodio ha suscitato grande attenzione per la gravità del gesto e per il contesto in cui si è verificato, oltre che per la figura dell’autore, già noto alle forze dell’ordine.
Cesare Dromì, 55 anni di Taurianova, ha precedenti penali significativi, tra cui omicidio, tentato omicidio e r@pina, ed è collegato alla crimin@lità organizzata calabrese, in particolare alle cosche Sergi e Pesce della ’ndrangheta. Nel 2011 era stato arrestato dopo una lunga latitanza trascorsa prevalentemente in Romania e doveva scontare oltre 21 anni di carcere per reati gravi. La sua presenza nelle penitenziari italiani è sempre stata monitorata, ma l’episodio con Turetta ha messo nuovamente in evidenza il profilo di pericolosità del detenuto.
Secondo quanto riportato da Il Gazzettino, Dromì non avrebbe colpito Turetta per motivi legati a un presunto “codice d’onore” tra detenuti. Le ipotesi successive indicano che il pugno possa essere stato parte di una strategia mirata a ottenere un trasferimento in un altro istituto penitenziario.
In pratica, Dromì avrebbe sfrutt@to l’episodio per creare le condizioni che giustificassero il passaggio a un altro carcere, trasferimento avvenuto il 24 settembre al Santa Bona di Treviso. Il contesto è importante: Turetta si trovava tra i detenuti “protetti” e aveva chiesto di essere trasferito in una sezione di alta sicurezza per poter accedere a programmi di lavoro, sollevando l’amministrazione penitenziaria da eventuali responsabilità.
La presenza di Turetta in questa sezione lo ha reso parte di un disegno più ampio orchestrato da Dromì, che aveva maturato debiti con altri detenuti e vedeva nel trasferimento un modo per evitare situazioni problematiche. L’episodio ha suscitato commenti anche da parte della famiglia della giovane coinvolta nella vicenda di Turetta, con Gino Cecchettin che ha definito l’atto “da condannare”, sottolineando l’importanza di tutelare chi, come Turetta, si trova sotto misure di protezione all’interno del penitenziario.
La vicenda evidenzia la complessità della gestione dei detenuti con profili ad alto rischio e la delicatezza delle dinamiche interne agli istituti penitenziari, dove anche un singolo gesto può avere conseguenze rilevanti.