Con tutto un social che parla del destino di Twitter, alla piattaforma del canarino azzurro forse non serve neanche il team dedicato al marketing, nell’ambito dei licenziamenti che, in queste ore, hanno falcidiato di sicuro la divisione dedicata allo sviluppo etico degli algoritmi: il social, che ha motivato il radicale processo di razionalizzazione delle sue risorse umane con un drammatico calo delle entrate (per colpa altrui), potrebbe però dover rendere ragione del modo in cui ha licenziato metà della sua forza lavoro.
Secondo i primi dettagli emersi, una delle unità più falcidiate dai licenziamenti comunicati oggi da Twitter, è stata M.E.T.A, ovvero la ML Ethics, Transparency, and Accountability: per Joan Deitchman, senior manager di questo team, sarebbero stati lasciati a casa tutti i membri del team che si occupava di rendere più open, trasparenti, e inclusivi gli algoritmi di Twitter mentre per Kristian Lum, ex ricercatore del team per l’apprendimento automatico, sarebbe stato licenziato l’intero team di M.E.T.A, meno uno. Quell’unica persona eventualmente rimasta, però, non è Rumman Chowdhury, ex direttrice del team, che in mattinata ha già ammesso il suo licenziamento e che, a inizio settimana, aveva confidato a Wired come il suo team fosse stato messo in attesa, con la richiesta di “non agitare le acque” durante questa fase delicata.
Secondo la Chowdhury, il suo team, che in passato aveva rivelato come l’algoritmo di ritaglio delle foto per le anteprime favorisse le persone dalla pelle bianca, e che aveva lanciato il progetto/concorso di “bounty bias” per consentire ai ricercatori terzi di scoprire eventuali altri problemi negli algoritmi della piattaforma, al momento del licenziamento era impegnato in nuove e “importanti ricerche sui pregiudizi politici che avrebbero potuto aiutare Twitter e altri social network a impedire che particolari punti di vista venissero ingiustamente penalizzati“.
Ovviamente, non si può pensare che i dipendenti licenziati siano stati propriamente felici della cosa. A confermarlo è il portale economico Bloomberg secondo il quale varo dipendenti messi alla porta avrebbero avviato, presso una corte federale di San Francisco, una class action visto che Twitter ha, con tutt’evidenza, disatteso il Worker Adjustment and Retraining Notification Act, o WARN, che richiede alle aziende con più di 100 dipendenti di preannunciare con due mesi tondi (60 gg) di anticipo eventuali licenziamenti di massa. L’obiettivo cui mira l’accusa è quello più immediato di costringere la nuova proprietà ad attenersi al WARN e, anche, di evitare che i dipendenti siano indotti a “firmare accordi che possano privarli del diritto ad eventuali impugnazioni del licenziamento“.
Infine, forse col tentativo di sedare gli animi, Elon Musk ha avviato una videocall con i rappresentanti di 7 organizzazioni non-profit “per chiarire le regole sulla moderazione dei contenuti che incitano all’odio” e ha dato una prima spiegazione all’enorme mole di licenziamenti annunciati in giornata, a quanto pare dovuti a un massiccio calo del fatturato, imputato alla fuga dalla piattaforma di diversi inserzionisti (tra cui General Motors e Audi), sotto le pressioni di gruppi di attivisti.
Il volubile neo proprietario del social non ha svelato se ritenesse responsabile del grande calo delle entrate un gruppo di attivisti in particolare, posto che si è limitato ad aggiungere come “stanno cercando di distruggere la libertà di parola in America“.