Anche Facebook (come d’altronde Spotify) ha chiuso in attivo il terzo trimestre del 2019, con ricavi e utili netti al di sopra delle attese, ed un crescente numero di utenti, circa 2.2 miliardi ogni giorno, o 2.8 miliardi ogni mese, che utilizza almeno uno dei servizi della sua galassia (Messenger, Instagram, WhatsApp, il client del social). Ciò, ovviamente, è imputabile alle sempre maggiori novità messe in campo a favore degli utenti, che – quindi – non sembrano essere spaventati dalle polemiche che anche questa settimana hanno coinvolto il gigante dei social.
Qualche giorno fa, la puntualissima leaker Jane Manchun Wong, analizzando una versione di Messenger in suo possesso, ha scoperto che la chat app del social sarebbe al lavoro per estendere la tutela all’interno delle chat segrete, introdotte nel 2016, che – ad oggi – proteggono con la criptazione end-to-end solo gli scambi testuali: il fine è quello di schermare anche le chiamate audio e video, come desumibile dagli screenshot condivisi, in cui si evidenzia, in alto a destra, la presenza di appositi pulsanti per avviare una chiamata, all’interno d’una chat segreta in corso.
Forse per proteggere un pubblico più giovane, Facebook ha varato una modifica delle sue policy, con la quale – come confermato al New York Post – vieta l’uso di alcune emoji, come la melanzana o la pesca, se con allusioni sessuali, quale espediente cioè per chiedere in modo allusivo l’avvio di conversazioni erotiche, lo scambio di immagini di nudo, o del sesso. La violazione di questa norma porta alla rimozione del contenuto incriminato e potrebbe anche condurre alla cancellazione o al contrassegno dell’account coinvolto.
Di sicuro è per tutelare i propri utenti che Facebook ha appena avviato una causa legale, presso il tribunale del distretto settentrionale della California, contro due hosting, ID Shield e OnlineNIC, colpevoli d’aver ospitato e non rimosso (nonostante le sollecitazioni ricevute) alcuni siti che, come nel caso di HackingFacebook.net, mettevano a disposizione guide e tool per hackerare o eseguire il phishing sugli account della piattaforma.
Tuttavia, nelle prossime presidenziali americane, saranno gli utenti votanti a ricevere poche garanzie. Nonostante 250 dipendenti del social abbiano firmato una lettera aperta a Zuckerberg nella quale si dicono preoccupati che il non controllare le inserzioni politiche trasformi il social in un’arma nelle mani della disinformazione, i vertici di Facebook Inc. hanno confermato la volontà di non censurare la politica, impegnandosi nell’esplorare ulteriori metodi per ampliare la trasparenza di questo genere di inserzioni, spiegando che tale decisione non è imputabile a questioni economiche, dato che le ads dei politici impatteranno solo per lo 0.5% degli introiti di quest’anno.
Oltre che dai dipendenti, altre grane vengono al social dalle autorità per la protezione dei dati personali. Poco più di un anno fa, il garante inglese per la privacy (Information Commissioner’s Office), noto come ICO, comminò una multa di 500 mila sterline – per il caso Cambridge Analytica – al social che, ovviamente, fece ricorso. Ebbene, è notizia delle scorse ore che il social ha accettato, forte del suo valore di 540 miliardi di dollari, di pagare quanto dovuto, avendo nel contempo accesso ad alcuni documenti che, giunti in mano alle autorità inglesi, erano stati usati nell’ambito del contenzioso giudiziario.