Facebook: grane su Libra, problemi sui contenuti rimossi, studi sfavorevoli al social

Proseguono senza tregua gli attacchi incrociati alla criptovaluta di Facebook che, non di meno, è rimasto coinvolto in polemiche a proposito della gestione dei contenuti, in nuove multe, ed in studi scientifici non proprio favorevoli alla celebre piattaforma.

Facebook: grane su Libra, problemi sui contenuti rimossi, studi sfavorevoli al social

Inizio di settimana buio come pochi, quello di Facebook, col noto social che, pur avendo festeggiato un bel record (i 5 miliardi di download nel Play Store di Android per il suo client ufficiale), è ancora alle prese con polemiche inerenti alla criptomoneta Libra, ma anche riguardanti la rimozione globale dei contenuti, senza contare il pagamento di nuove multe, e l’emergere di studi non proprio favorevoli.

Annunciata poco prima dell’estate, la criptovaluta proprietaria Libra è stata al centro di un fuoco incrociato da parte di autorità e privati, che non accenna a smettere. Nei giorni scorsi, il CEO di Apple, Tim Cook, in tour promozionale in Italia, a proposito della questione si è espresso sostenendo che un privato non dovrebbe entrare in campi che spettano alle autorità nazionali: non meno duro è stato Benoît Cœuré della BCE che, partecipando ad un convegno sull’innovazione nei pagamenti, ha spiegato come una delle preoccupazioni comunitarie riguardi l’effettiva stabilità della valuta digitale, che dovrà avere adeguati meccanismi affinché l’utente possa conservare il valore di quanto in essa investito.

Tra questi, un ruolo di rilievo dovrebbe spettare all’adesione di diversi partner, cui sarà demandato anche il compito di garantire una certa solvibilità e convertibilità a Libra: il problema, tuttavia, è che non pochi dei soci iniziali della Libra Association stanno riconsiderando il loro impegno. Nelle scorse settimane s’era detto di Visa e MasterCard ma, ora, il Wall Street Journal ha fatto anche il nome di PayPal che, pur continuando a supportare l’attuale lavoro del board di Libra, si asterrà da “eventuali future partecipazioni, quasi sicuramente nell’attesa di capire l’evolversi della situazione, e sì da evitare danni d’immagine derivanti dall’essere associati a una realtà percepita come suscettibile di favorire il riciclaggio di danaro sporco.

Anche il tema dei contenuti da rimuovere, o rimossi, non lascia proprio tranquilli i piani alti di Menlo Park, già scossi dal caso di una presunta censura lamentata da Gizmodo, a proposito di un’inchiesta pubblicata su Zuckerberg, ma resa parzialmente inaccessibile dal social.

In attesa che venga fatta chiarezza su questa circostanza, nel corso di un incontro di domande e risposte con i propri dipendenti, Mark Zuckerberg ha anticipato l’intenzione di presentare ricorso in appello contro la decisione della Corte di Giustizia europea in merito alla dovuta rimozione globale dei contenuti ritenuti illegali anche da un solo Stato, perché quest’ultima rischierebbe di far prevalere le norme di una nazione su quelle delle altre, e costringerebbe il social – per usare le parole del portavoce, Nick Clegg (riportate nel corso di un’intervista a El Pais) – a recitare la parte di un poliziotto del web, dal momento che dovrebbe occuparsi di scovare eventuali equivalenze di contenuti passati per illeciti.

Già in passato Facebook ha pagato delle maxi multe, ma il trend non sembra volersi arrestare nemmeno nella parte finale del 2019, col Menlo Park che ha raggiunto un accordo risarcitorio, del valore di 40 milioni di dollari, con diversi inserzionisti che avevano accusato il social di aver pompato le statistiche sulle visualizzazioni delle ads. La causa, iniziata nel 2016, è giunta a tale esito nonostante il social in blu avesse attribuito il problema ad un errore (di cui i tecnici non si sono accorti per molto tempo) dell’algoritmo che stima il tempo medio di fruizione dei video spot.

Nel recente passato, Facebook ha promosso l’iniziativa “Social Media e Democracy Research Grants Program” che, svolta assieme a vari gruppi di ricerca, avrebbe dovuto studiare i meccanismi di diffusione delle fake news, e come il social sia stato usato per veicolare disinformazione. Ebbene, molti dei partecipanti all’iniziativa continuano a lamentare la reticenza di Facebook nel condividere i set di dati ricavati dal progetto, se non dietro ultimatum di messa in liquidazione dell’iniziativa, e sempre in modo parziale.

Anche dallo studio condotto presso l’università del Texas dalla rivista scientifica Experimental Economics, infine, il social non esce propriamente bene: messi a confronto due gruppi di studenti, dei quali uno impossibilitato a usare il social per una settimana, sono emersi forti sentimenti di depressione (conditi da acquisti compulsivi e più cibo mangiato) in coloro che, invece, continuavano ad utilizzare la nota piattaforma di blu vestita.

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