Questi giorni probabilmente passeranno alla storia degli annali hi-tech come i peggiori a memoria d’uomo per Facebook, appena condannata ufficialmente a una multa di 5 miliardi di dollari in America, ove sarebbe stato aperto anche un procedimento antitrust in capo a diversi colossi tecnologici (tra cui il social stesso) per presunti comportamenti anti-concorrenziali. Il tutto mentre prenderebbe largo un nuovo scandalo sulla privacy, e dilagherebbero varie inserzioni truffa relative a Libra.
Tempo di multe per Facebook. Di recente, il garante per la privacy inglese aveva comminato una sanzione di mezzo milione di sterline al social in blu per il caso Cambridge Analytica, esploso nel 2018, quando venne a galla che i dati di 87 milioni di utenti, attraverso un’app di test, erano stati usati per una profilazione che, poi, aveva portato a una delle più grandi manipolazioni politiche della storia (con relativo impatto sulle presidenziali USA del 2016 e sul referendum per la Brexit).
Ebbene, in queste ore da oltreoceano è giunta la notizia secondo la quale il Dipartimento di Giustizia americano ha avallato la richiesta della Federal Trade Commission (presa a maggioranza qualche settimana prima) di sanzionare con una multa di 5 miliardi di dollari Facebook (che ne aveva accantonati già 3) per la medesima vicenda.
Secondo l’Antitrust a stelle e strisce tale sanzione, decisa anche per indurre nell’azienda di Menlo Park un cambio di rotta che scongiuri nuove violazioni in merito, assume in sé diversi primati, tra cui l’essere la più elevata mai comminata per questioni di privacy, e di 20 volte maggiore di quella che, a livello mondiale, era stata affibbiata per la stessa fattispecie di violazioni. Inoltre, il tutto non si esaurisce con un esborso pecuniario, comunque ragguardevole in quanto assorbe il 9% degli introiti totali maturati da Facebook nello scorso anno.
Zuckerberg, infatti, si assumerà la responsabilità di certificare che la sua azienda sia conforme con le nuove restrizioni sulla tutela dei dati personali, tra cui l’esser soggetta a un comitato indipendente sul tema della privacy. Il social, infine, è stato accusato, a conclusione delle indagini, di aver ingannato gli utenti a proposito dei loro numeri di telefono, raccolti per questioni di sicurezza, ma – di seguito – passati agli inserzionisti: in questo caso, la consegna a Menlo Park è di non usare – come riporta l’Ansa – tali dati a scopo pubblicitario.Per un’annosa questione che si chiude, se ne apre un’altra, ancora una volta tramite il Dipartimento di Giustizia americano.
Secondo quanto riporta il Wall Street Journal, il ministero della giustizia USA avrebbe aperto un procedimento contro alcuni colossi hi-tech – tra cui Apple, Google, Amazon, e Facebook – per appurare l’eventualità che abbiano danneggiato la concorrenza nei rispettivi settori: al momento, si tratta solo di indiscrezioni che, però, troverebbero un riscontro negli ultimi scambi after hours in Borsa, con forti cali (1.56% per Facebook, 1.21% per Google, 1.08% per Amazon, 0.96% per Google) per tutte le aziende coinvolte.
Altre problematiche, poi, potrebbero sorgere in seguito a un articolo del New York Times che, nello specifico, fa riferimento ad una ricerca condotta dalla Carnegie Mellon University in tandem con Microsoft Research e l’University of Pennsylvania, dalla quale emergerebbe che non serve affatto navigare in modalità incognito sui siti per adulti perché alcuni colossi hi-tech (es. Oracle, Google) – tra cui l’immancabile Facebook – traccerebbero gli utenti, mediante appositi cookie, anche in quel caso.
La reazione delle due principali aziende attive sul web, Google e Facebook, è già arrivata e, similarmente, si traduce nell’affermare che non vengono trasmesse informazioni che possano far indentificare gli utenti, e che non viene mai permessa la profilazione degli utenti, a scopo pubblicitario, sulla base delle loro preferenze sessuali.
Infine, siccome non v’è mai fine al peggio, anche Libra, per ora stoppata, continua a dar problemi in quel di Menlo Park. Il Washington Post, infatti, ha notato come, nelle ultime settimane, sia sul social che su Instagram, siano apparsi decine di account, pagine e gruppi che, presentandosi come rivenditori ufficiali (con tanto di logo del social) di tale valuta digitale ancora lungi dall’esordio, attraverso inserzioni pubblicitarie a quanto pare apparse anche su Twitter e YouTube, promettono di cederne dei quantitativi a prezzi scontati, in cambio della visita a siti di terze parti, verosimilmente di tipo truffaldino (o per guadagnare con i click agli stessi).