Negli ultimi tempi si fa un gran parlare dei visori VR per la fruizione della realtà virtuale e, da un momento all’altro, sembra che debbano diventare il nuovo gadget di massa per gli amanti della tecnologia. Quasi sicuramente sarà così: tuttavia, va detto, vi sono ancora molti problemi da risolvere perché i contenuti in realtà virtuale diventino realmente appetibili anche per l’utenza comune.
Un problema, ad esempio, molto “sentito” in tema di realtà virtuale è quello della “VR Sickness”, o nausea da realtà virtuale, una patologia di cui soffre, per breve tempo e mai in modo uniforme, che usa un Oculus Rift VR o un Gear VR della Samsung.
Nello specifico, usando un visore per godersi un contenuto in VR, molto spesso, il comune utente prova un senso di disorientamento e di vera e propria nausea dettato dal fatto che ciò che i suoi occhi vedono non coincide appieno con le sensazioni dinamiche che ha il proprio corpo.
Il problema non dipende dal fatto che i fotogrammi proiettati nel visore VR sono troppo veloci, a livello di frame, e – quindi – non è certo modificandone il ritmo che questa spiacevole sensazione sparirà. In realtà alla radice di questo malessere del domani vi è il fatto che i caschetti VR non tracciano alla perfezione il movimento della testa, nonostante siano pieni di sensori di movimento e di giroscopi: c’è sempre uno sfasamento, per quanto piccolo sia. E questo “jet leg” la mente, ahinoi, lo percepisce eccome.
Rimedi? Jack McCauley, ex co-fondatore di Oculus Rift (ora nel portafoglio di Facebook), si sta proprio dedicando alla risoluzione di tale questione e, nel corso del MEMS Executive Congress di Nepa, ha sostenuto che vi sono diverse strade da seguire.
La migliore consiste nel migliorare gli algoritmi che rendicontano la cinematica del corpo: tuttavia, questa soluzione richiede ricerche molto lunghe.Altra ipotesi riguarda la possibilità di ricorrere ad una videocamera esterna che monitori costantemente dei market luminosi posti sul caschetto VR: in questo frangente, però, vi sarebbe una grande mole di dati che il sistema dovrebbe analizzare in tempo reale per prevedere il movimento della testa ed elaborare delle immagini conseguenziali.
La soluzione più rapida, semplice, efficace ed economica, invece, consiste nel usare una sorta di HTC Vive, un sistema di tracciamento in cui dei proiettori inviano degli infrarossi verso il casco e, su quest’ultimo, degli specchietti ricettori attuano una serie di veloci scansioni per rilevare la riflessione in tempo reale dei raggi proiettati: in questo modo si avrebbero informazioni dettagliate, in simultanea, in grado di generare immagini che accompagnino sul serio anche i più piccoli movimenti del capo e del corpo.
McCauley, ovviamente, ha espresso la sua preferenza per questa soluzione, assieme all’intento – da parte sua – di attuarvi delle migliori come, ad esempio, l’impiego di specchi MEMS in grado di eseguire delle rilevazioni a 1 kHz di frequenza, quindi molto superiore alle 100 scansioni al secondo dei sistemi previsti dal pur buono HTC Vive.