Un anno dopo la morte di Aylan, cosa è cambiato?

E' trascorso un anno da quando il corpicino senza vita di Aylan Kurdi è stato trovato riverso su una spiaggia turca; da quando i governi europei promisero di attivarsi per evitare la morte di altri profughi nell'Egeo. Ma cosa è veramente cambiato da allora?

Un anno dopo la morte di Aylan, cosa è cambiato?

Era il 2 settembre dello scorso anno quando la fotografia del piccolo Aylan Kurdi commosse il mondo intero e spinse i leader europei a promettere di fare in modo che più nessun richiedente asilo perdesse la vita nell’Egeo, eppure nulla è migliorato, anzi. 365 giorni da quando l’innocenza e il futuro di quel bambino di tre anni trovato riverso con il viso sulla sabbia sono stati cancellati per sempre.

L’immagine del suo corpicino inerme sulla riva di una spiaggia turca fece in pochi istanti il giro del pianeta e numerosi furono i messaggi di cordoglio per Aylan e la sua famiglia. Il paradosso è che prima di Aylan erano pochi i bambini morti nel mar Egeo; mentre dopo la sua tragedia si sono contati 423 decessi di minori affogati. Per questo motivo, giovedì la Ong Save the Children ha liberato in cielo 423 palloncini rossi davanti al Congresso dei Deputati, per ricordare i bambini morti nelle acque del Mediterraneo mentre tentavano di scappare dalla guerra e dalla violenza dei loro paesi di origine.

Ci si chiede allora a cosa sia servita la ripercussione pubblica che un anno fa ebbe la foto di Aylan, cosa sia cambiato dalla sua morte. La risposta la troviamo nelle misure adottate dai diversi governi europei da quel momento in avanti, destinate a impedire l’arrivo massivo dei rifugiati e non certo a garantire un passaggio sicuro per evitare altre morti.

Per citarne alcune, la costruzione del così detto muro di Orban tra Ungheria e Croazia, che in realtà è una rete metallica -; la graduale chiusura della rotta dei Balcani; l’accordo di Bruxelles con Ankara per risolvere la crisi dei rifugiati, che prevedeva di mandare in Turchia tutti gli immigrati giunti in modo illegale in uno dei 28 paesi membri. O la chiusura di campi profughi come quello di Idomeni, nella frontiere tra la Grecia e Macedonia. O ancora la decisione delle autorità danesi di confiscare dei beni dei rifugiati per pagare i costi della loro istanza.

Il corpo di Aylan Kurdi riposa ora a Kobane, una città della Siria distrutta dalla guerra, accanto a suo fratello e sua madre. E la compassione per la sua tragica storia è durata poco, dal “mi piace” di massa all’oblio assoluto.

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