E’ finalmente arrivato il tanto atteso summit a Camp David tra gli Stati Uniti, rappresentati dal Presidente Barack Obama in primis, e le grandi monarchie del Golfo Persico, alle prese con la delicata questione della minaccia interna che si articola sull’asse Yemen-Iran. Il leader statunitense ha tentato di convincere Riad e gli alleati arabi del fatto che un accordo sul nucleare iraniano non comprometterà in alcun modo i rapporti tra gli USA e le grandi monarchie del Golfo, ma è palpabile la sensazione che quella di Obama sia soltanto una mezza verità.
Infatti il Presidente statunitense, per quanto non intenda inimicarsi l’Arabia Saudita ed i suoi alleati in questo delicato frangente storico, sembra essere orientato verso una rivisitazione dei famosi accordi conclusi da Roosevelt nel lontano 1945, quando ebbe inizio la collaborazione saudito-statunitense riguardante lo scambio di favori che comprendeva petrolio e basi militari, in cambio di protezione. Una costante della politica estera americana dal secondo dopoguerra in poi. E non è difficile intuire che la questione relativa all’Iran sia tutt’altro che una bazzecola, nonostante le parole di facciata di Obama.
Il Presidente americano non sembra infatti vedere troppo di buon occhio il governo saudita, una monarchia wahabita fondata su precetti islamici ultraconservatori, pericolosamente vicina agli ideali di alcuni gruppi jihadisti. La facciata “occidentalizzata” del Paese è infatti segno di un grande balzo in avanti dal punto di vista tecnologico, ma a quello si limita, senza scalfire la mentalità dei vertici del governo nazionale. I primi segni di attrito si erano verificati quando re Salman bin Abdulaziz al Saud aveva rifiutato di partecipare al summit, preferendo inviare invece i principi ereditari Mohammed bin Nayef e Mohammed bin Salman.
La motivazione ufficiale era relativa alla tregua Coalizione araba-Houthi. Ma voci di corridoio suggeriscono una forte irritazione di Salman nei confronti degli Stati Uniti, “rei” di aver tentato la via del dialogo con l’Iran, “nemico naturale” dell’Arabia Saudita. Barack Obama dal canto suo, nonostante le rassicurazioni, ha tirato dritto per la sua strada: “Gli USA sono pronti ad affiancare i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo per respingere e contrastare ogni attacco alla loro integrità territoriale”. Limpido.
“Nessuno ha interesse a portare avanti una guerra senza fine contro l’Iran […] Voglio che sia chiaro che lo scopo di questa cooperazione sul fronte della sicurezza non è quello di alimentare uno scontro di lungo periodo con l’Iran, e neppure quello di marginalizzare l’Iran”. Altrettanto lapalissiano. Bastone e carota insomma, la tattica utilizzata da Obama per cercare di placare gli animi dell’alleato saudita, che giorno dopo giorno diventa sempre più indispettito.
E se, con l’accordo sul nucleare iraniano, le monarchie del Golfo dovessero iniziare a loro volta la corsa al nucleare per pareggiare i privilegi eventualmente concessi al “mortale nemico” di Teheran? Una cosa è certa: Barack Obama ha per le mani una bella gatta da pelare, per dirla senza circonlocuzioni di sorta. E la semplice diplomazia, nel caso, potrebbe non bastare.