Pensioni anticipate: ecco perché le domande per la Quota 100 sono inferiori alle stime del 30%

Dall’Inps arrivano nuovi dati in merito alle richieste di accesso alla pensione anticipata tramite la Quota 100. Il numero risulta inferiore di un terzo rispetto alle stime iniziali, secondo le ultime prese di posizione dell’Inps.

Pensioni anticipate: ecco perché le domande per la Quota 100 sono inferiori alle stime del 30%

Gli aggiornamenti più recenti in arrivo dall’Inps confermano i dati che erano già emersi negli ultimi giorni in merito all’effettivo utilizzo da parte dei lavoratori dell’opzione di pensionamento anticipato tramite la Quota 100. Un meccanismo che consente di uscire dal lavoro a partire dai 62 anni di età e con almeno 38 anni di contribuzione, purché si accetti il vincolo di non cumulabilità con altri redditi da lavoro dipendente o autonomo fino alla maturazione dei 67 anni di età.

A tornare sulla questione è stato il commissario alla guida dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha fatto il punto sulla misura riportando innanzitutto i dati consolidati fino a giugno 2019. Lo scorso mese sono state infatti oltre 150 mila le domande inviate dai lavoratori all’Istituto pubblico di previdenza tramite quota 100 (per la massima precisione il dato corrisponde a 154.095 unità). Un numero sufficiente a trarre le prime conclusioni rispetto alla misura di flessibilità previdenziale avviata dal governo gialloverde.

In base al trend dei dati della Quota 100 e all’evoluzione del flusso di domande “alla fine dell’anno il numero atteso delle pensioni in pagamento sarà pari a circa 205 mila, per una spesa complessiva annua di 3,6 miliardi“, ha spiegato l’economista. Cifre che di fatto concretizzato una platea inferiore alle aspettative iniziali di circa il 29%, stante che per il 2019 le proiezioni ipotizzavano di poter raggiungere le 290 mila richieste.

Pensioni anticipate, Quota 100 è un’opzione lontana per chi ha lavorato in modo discontinuo

Tra i motivi dell’interesse inferiore rispetto alle aspettative iniziali, uno dei più indicati negli scorsi mesi riguardava la differenza nell’entità dell’assegno previdenziale rispetto al raggiungimento dell’età ordinaria di quiescenza. Restare sul lavoro per qualche anno in più significa infatti accumulare maggiori versamenti e poter beneficiare per la parte contributiva di coefficienti di conversione in rendita maggiori.

Ma per alcuni potrebbe aver pesato anche l’impossibilità di proseguire nel proprio lavoro, se non attraverso attività occasionali e con un limite di 5 mila euro annui. Anche questo elemento comporta di fatto l’impossibilità di effettuare versamenti aggiuntivi e di accrescere ulteriormente l’assegno. Mentre in senso generale è necessario tenere presente che il vincolo dei 38 anni di contribuzione sussiste in modo indipendente rispetto all’età anagrafica. Un paletto che, di fatto, concorre nel tenere molti lavoratori al di fuori della misura di flessibilità previdenziale.

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