Silvia Romano, la cronistoria della sua prigionia: dal rapimento fino alla liberazione

Dinanzi al pubblico ministero di Roma, Sergio Colaiocco, la volontaria Silvia Romano ha raccontato nei dettagli i suoi 18 mesi di prigionia passati tra il Kenya e la Somalia. Ecco il suo racconto riportato testualmente dal "Corriere".

Silvia Romano, la cronistoria della sua prigionia: dal rapimento fino alla liberazione

Silvia Romano, durante il suo periodo di prigionia durato 18 mesi passati fra il Kenya e la Somalia, ha chiesto un quaderno ai suoi carcerieri, con l’obbiettivo di annotarsi ogni dettaglio, comprese le date e gli spostamenti. Questo è diventato praticamente il suo diario, anche se prima di essere liberata i carcerieri glielo hanno sequestrato.

La volontaria della Onlus “Africa Milele“, nonostante a oggi sprovvista di questo diario, ha raccontato tutto dinanzi al pubblico ministero di Roma, Sergio Colaiocco, e ai carabinieri del “Raggruppamento operativo speciale”, ricostruendo tutte le tappe della sua prigionia.

Il racconto di Silvia Romano

Come riporta il sito del “Corriere“, gli esecutori che l’hanno rapita dal villaggio di Chakama erano solamente in tre. La ragazza è stata poi affidata al gruppo terroristico jihadista sunnita di matrice islamista attivo in Somalia “Al-Shabaab“, che ha ordinato immediatamente il suo sequestro.

Silvia Romano ha poi raccontato questo primo viaggio: “All’inizio c’erano due moto, poi una si è rotta. Abbiamo fatto molti tratti a piedi, attraversato un fiume. C’erano degli uomini con me, camminavamo anche per otto, nove ore di seguito. Erano cinque o sei”. I primi giorni per la ragazza sono stati molto difficili: “Ero disperata, piangevo sempre. Il primo mese è stato terribile”. Ma con il passare dei giorni si fa forza: “Mi hanno detto che mi avrebbero trattata bene. Ho chiesto di avere un quaderno, sapevo che mi avrebbe aiutata”.

Da qui iniziano i primi negoziati, portati avanti dal generale della Guardia di finanza, Luciano Carta, che è al vertice dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE). La prima richiesta formulata dai servizi segreti italiani consiste nella dimostrazione che la volontaria fosse ancora in vita.

Intanto, Silvia Romano è stata spostata già in un secondo covo: “Stavo sempre in una stanza da sola, dormivo per terra su alcuni teli. Non mi hanno picchiata e non ho mai subito violenza. Non sono stata costretta a fare nulla. Mi davano da mangiare e quando entravano nella stanza i sequestratori avevano sempre il viso coperto. Parlavano in una lingua che non conosco, credo in dialetto”. In seguito chiede a uno dei carcerieri, l’unico che sa parlare l’inglese, di poter leggere alcuni libri e di farsi portare il Corano, il testo sacro dell’Islam. Da qui, anche se non si hanno prove certe, inizia probabilmente la sua conversione religiosa.

I nuovi spostamenti e la liberazione

Il “Corriere” rivela che con il passare delle settimane Silvia Romano viene spostata in nuovi covi, per un totale di sei prigioni prima di essere liberata. Le trattative però stanno andando avanti sottotraccia, seppur non manchino delle difficoltà comunicative, anche se Silvia immagina che le cose stiano andando nel migliore dei modi, poiché le viene fatto girare un video in cui deve dire il suo nome, la data, oltre ad assicurare che sta bene.

Gli spostamenti iniziano a diventare difficoltosi a causa della Guerra civile in Somalia, che dura ormai dal ’91. Infatti racconta che spesso si muovevano con un’auto oppure a piedi, camminando per chilometri. L’ultimo video, che le garantisce la liberazione, viene girato il 17 gennaio 2020.

Durante una chiacchierata con la psicologa dell’ambasciata di Mogadiscio, racconta di aver cambiato il suo nome in Aisha, forse in omaggio ad Aisha bint Abi Bakr, figlia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, e tra la più importanti delle spose del profeta Maometto.

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