MACERATA – «Mio padre, 89 anni, è rimasto per tre giorni nel pronto soccorso dell’ospedale senza che nessuno ci informasse che noi familiari avremmo dovuto occuparci dei suoi farmaci e dei suoi pasti. Lo abbiamo scoperto solo quando, domenica, lo abbiamo trovato visibilmente peggiorato. È inaccettabile». È una denuncia piena di dolore, rabbia e incredulità quella di Annalisa Cegna, direttrice dell’Istituto storico di Macerata e docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Macerata, che racconta l’odissea vissuta dal padre, anziano e con una lunga storia clinica alle spalle, lasciato in condizioni che lei definisce «assurde» all’interno del pronto soccorso. «Mio padre è cardiopatico da oltre 40 anni spiega.
Mercoledì si è sentito male, e dopo la valutazione del medico di famiglia abbiamo deciso di chiamare l’ambulanza che lo ha trasportato da Passo di Treia all’ospedale di Macerata. In pronto soccorso gli è stata diagnosticata una polmonite associata a un grave scompenso cardiaco. Avevamo portato con noi tutta la sua documentazione sanitaria, compreso il piano terapeutico con i farmaci salvavita che assume regolarmente.
Pensavamo, come è normale aspettarsi, che se ne sarebbero occupati i medici». E invece, stando al racconto della professoressa, qualcosa è andato storto. Domenica, al momento di una visita, i familiari si sono trovati davanti un quadro clinico aggravato. «Era debole, confuso, peggiorato. Solo allora la dottoressa di turno ci ha chiesto se il paziente seguisse una terapia farmacologica specifica. Alla nostra risposta affermativa, ci ha spiegato che, oltre alle cure per la polmonite e lo scompenso, tutto il resto dai farmaci abituali al cibo doveva essere fornito da noi. Ma nessuno ce lo aveva detto prima».
Un’informazione cruciale che, secondo Cegna, manca anche ad altri familiari che si trovavano nella stessa condizione: «Al pronto soccorso non vengono somministrati né pasti né farmaci salvavita ordinari. I familiari devono saperlo e occuparsene, ma nessuno lo comunica. E chi non ha parenti vicini? Chi non può provvedere? È gravissimo, e non è tollerabile che tutto questo passi sotto silenzio». Alla denuncia risponde il primario del pronto soccorso di Macerata, dottor Emanuele Rossi, che chiarisce il protocollo seguito all’interno della struttura: «Il paziente in questione si trova in osservazione breve intensiva, dove vengono garantite le cure per le patologie acute in questo caso la polmonite e lo scompenso cardiaco e vengono somministrati antibiotici, cortisone e diuretici per via endovenosa.
Per quanto riguarda altri farmaci non salvavita, abbiamo indicato ai familiari che potevano somministrarli loro stessi. Quanto al cibo, distribuiamo acqua e frutta frullata, ciò che è compatibile con lo stato di salute del paziente. Nessuno viene lasciato completamente senza assistenza, ma la priorità resta sempre l’emergenza medica». Il caso, comunque, riapre il dibattito sulle condizioni di accoglienza e cura nei pronto soccorso italiani, spesso sotto pressione e in carenza di personale, dove la comunicazione con i familiari dei pazienti rischia di diventare un anello debole del sistema. «Non vogliamo puntare il dito contro nessuno conclude Annalisa Cegna ma chiediamo maggiore chiarezza, organizzazione e umanità. Nessuno dovrebbe sentirsi abbandonato in ospedale».