Prima e dopo l’approvazione del decreto Lorenzin sulle vaccinazioni obbligatorie, si è assistito un vero e proprio scontro tra chi sosteneva la necessità di immunizzare la popolazione da malattie potenzialmente letali, e chi – invece – optava per la libertà di scelta o, addirittura, la non vaccinazione. Uno scontro che, nel piccolo, si è consumato in tante famiglie: proprio come emerso giorni fa a Milano.
Diversi media nazionali, infatti, hanno raccontato l’esito di una battaglia legale tra un marito ed una moglie, ormai separati da tempo, a proposito delle cure da somministrare al loro bambino di 4 anni: la donna, un’operatrice turistica, da tempo è una convinta fan delle tesi no-vax, che caldeggia a spada tratta sul suo profilo social e, per questo motivo, ha sempre evitato che il piccolo venisse visitato da un pediatra, e sottoposto alle iniezioni immunizzanti.
Per molto tempo, la signora in questione è riuscita a imporre la sua volontà, complice anche una denuncia (poi archiviata) fatta al marito per presunte molestie sul piccolo: quando il decreto Lorenzin è passato, diventando legge, e imponendo le vaccinazioni quali pre-requisito per l’iscrizione a scuola, le cose sono cambiate ed i giudici – con una sentenza emessa il 31 Luglio – hanno stabilito che saranno – d’ora in poi – i servizi sociali ad occuparsi della salute del bimbo, facendo sì che esegua i test per verificare eventuali incompatibilità agli obblighi vaccinali, e onde accertarne lo stato di salute, posto che il marito ha più volte lamentato che la donna, imponendo una dieta vegana al bimbo, gli abbia causato serie deficienze vitaminiche.
Oltre a ciò, spetterà ai servizi sociali anche assumere le decisioni circa l’istruzione e l’educazione del piccolo (anche per accertare se va a a scuola con regolarità) che, causa il veto della donna alle vaccinazioni, non ha potuto frequentare luoghi di socializzazione come le piscine, al cui accesso il bambino veniva interdetto, proprio a causa delle vaccinazioni non fatte.
Infine, saranno sempre i servizi sociali a dover regolarizzare i rapporti tra il padre ed il minore, al fine di favorire tempi di incontro congrui che, in futuro, possano anche ampliarsi o liberalizzarsi del tutto. Decisioni, queste, a cui i genitori non potranno esimersi, pena – ha avvertito il giudice – la collocazione del bambino fuori dal contesto familiare di origine (ovvero, l’affidamento a terzi).