L’Italia che non funziona: dipendenti delle coop sottopagati e sfruttati

Sarebbero almeno 350mila i dipendenti delle cooperative sociali che prestano servizio nei settori sanitario o assistenziale per meno di 6 euro netti l'ora, a fronte di commesse milionarie da parte degli enti locali

L’Italia che non funziona: dipendenti delle coop sottopagati e sfruttati

Meglio lo stipendio o il reddito di cittadinanza? Meglio il reddito di cittadinanza se si analizzano le condizione lavorative di oltre 350mila dipendenti delle cooperative sociali che in Italia, nel Paese dei furbi e dei fessi, percepiscono paghe inferiori al tetto che vorrebbe imporre il Ministero del Lavoro, guidato da Luigi Di Maio: quello del salario minimo garantito.

Il quotidiano La Verità, infatti, si è avventurato in quel limbo dantesco chiamato precariato italiano, scoprendo una realtà vergognosa, fatta di personale qualificato ma sottopagato, sfruttato, vessato, nonostante che le cooperative in cui lavorano percepiscano milioni di euro dalla pubblica amministrazione che ha delegato all’esterno determinati servizi, come quelli sociosanitari e assistenziali.

Le paghe che ricevono i dipendenti di queste cooperative sono da fame. Senza eccezione tra Nord e Sud. In Emilia Romagna, per esempio, alcune cooperative arrivano a fatturare milioni di euro, eppure offrono ai loro dipendenti retribuzioni che non superano i 6 euro all’ora. Cioè poco meno di 50 euro al giorno per 8 ore di lavoro. È questo il costo standard del lavoro per gli impiegati, spesso giovani, laureati e specializzati.

Secondo i sindacati, che recentemente hanno indetto uno sciopero, in tali enti non esistono gratifiche alcune. Non ci sono promozioni, formazioni, rimborsi spese, buoni pasto. E non è un problema solo del Sud, in quanto il vizio si è esteso anche al Nord. A Bologna, per esempio, ha fatto indignare la vicenda di una cooperativa che ha imposto ai propri educatori di consumare soltanto la metà del pasto offerto dalla mensa scolastica.

I lavoratori delle cooperative sociali denunciano le “condizioni di semi-schiavitù” in cui sono costretti ad operare. Casi vergognosi che non risparmiano alcun settore, come in quello sanitario, dove alcuni infermieri vengono addirittura retribuiti solo con “rimborsi spese”. Come dire: andatevene all’estero se non volete fare la fame.

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