“Questa volta è toccato a me, pochi giorni fa a una collega. Ma la verità è che ogni giorno rischiamo. Tre giorni fa, ad esempio, un paziente pretendeva un’iniezione immediata senza passare per l’accettazione: ha lasciato il pronto soccorso, ha staccato lo specchietto retrovisore di un’auto parcheggiata ed è tornato indietro minacciandoci con un pezzo di vetro. È così che siamo costretti a lavorare: nella paura”. A parlare è Alessandro L.C., infermiere di 49 anni, in servizio da 15 anni presso il pronto soccorso dell’ospedale di Pescara.
È lui l’ultimo sanitari che ha subito un affronto. L’episodio è accaduto giovedì sera, ed è stato denunciato ai carabinieri che poco dopo hanno arrestato l’uomo un cittadino marocchino di 45 anni. Alessandro ha raccontato tutto anche al magistrato di turno, a cui ha chiesto una pena esemplare. «Basta impunità. Chi aggredisce un operatore sanitario deve pagare. Giovedì sera sono intervenuto in difesa degli altri pazienti in sala d’attesa: quell’uomo stava lanciando una sedia a rotelle contro di loro.
Non potevo restare a guardare». Secondo la ricostruzione dell’infermiere, l’uomo appena trasportato al pronto soccorso dalla Misericordia è stato fatto accomodare in sala d’attesa perché non presentava segni evidenti di emergenza. «Erano circa le 20.30, io stavo per terminare il mio turno al Triage. Poco dopo, abbiamo sentito urla provenire dalla sala. Pazienti e familiari chiedevano aiuto. Quell’uomo, completamente fuori controllo, aveva anche palpeggiato una donna.
Una scena da Far West». Alessandro è corso a intervenire, ma appena l’uomo ha riconosciuto la sua divisa, la situazione è precipitata: «Ha iniziato a colpirmi con crudeltà, prima con schiaffi, poi con pugni. Solo il pronto intervento delle guardie giurate ha evitato il peggio. Sono riuscite a bloccarlo fino all’arrivo dei carabinieri». L’infermiere ha riportato lividi e contusioni, in particolare alla schiena e al torace. La prognosi parla di dieci giorni, ma il trauma è anche psicologico: «Non possiamo continuare a lavorare così. È umiliante. Mentre lo affrontavo, ho avuto paura: ho pensato potesse avere una lama o un’arma.
Non sai mai cosa possono tirar fuori». Nonostante la rabbia e lo sconforto, Alessandro ha ricevuto solidarietà immediata dai colleghi e dalla direzione: «La mia responsabile mi ha chiamato subito ed è rimasta in contatto anche mentre ero in caserma. Ho sentito la vicinanza dell’intero ospedale, ma ora serve un cambio di passo. Non basta più il supporto morale. È tempo di agire». Il suo appello è chiaro: «Serve un segnale forte da parte delle istituzioni, servono pene severe per chi affronta chi lavora per salvare vite. Noi siamo lì per aiutare, non per essere presi a pugni».