Codogno: il ground zero del coronavirus un mese dopo

Un mese dopo lo scoppio dell'epidemia del coronavirus che sta paralizzando il mondo intero, Codogno, la prima zona rossa d'Europa, dà i primi segni di ripresa. Ma la situazione del sistema sanitario resta critica

Codogno: il ground zero del coronavirus un mese dopo

Era il 21 febbraio 2020, il giorno in cui Codogno diventava una città fantasma: tutti i negozi, i bar e persino le farmacie erano chiusi. Il giorno in cui il primo caso di contagio da coronavirus in Italia ha di colpo paralizzato tutto e dato il via a un incubo che dura ancora oggi. Solo che ora, trenta giorni dopo la nascita della prima “zona rossa” d’Europa della pandemia del coronavirus, non sono più solo le strade di Codogno e dei paesi vicini ad essere deserte.

Per tre settimane abbiamo sentito la sirena delle ambulanze, giorno dopo giorno. Ogni giorno vedevamo il manifesto funebre di qualcuno che conoscevamo“, racconta al quotidiano Lavanguardia Daniela Accadia, una giornalista che vive a Casalpusterlengo, paese confinante con Codogno. In 30 giorni sono morte 130 persone: una generazione persa. 

È trascorso un mese da quando Mattia, un uomo di 38 anni, un atleta, senza alcun legame con la Cina, residente a Codogno, diventava ufficialmente il paziente uno italiano. Gli scienziati non sono stati in grado di identificare il paziente zero che ha infettato quest’uomo: secondo gli esperti, il virus circolava nel paese transalpino da settimane senza che nessuno se ne fosse accorto, scambiato per influenza comune o trasmesso da pazienti asintomatici. “Quello che abbiamo chiamato paziente 1 era probabilmente il paziente 200“, ha detto il virologo Fabrizio Pregliasco. La sua polmonite era resistente a qualsiasi farmaco conosciuto. È stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva per quasi un mese per via dei gravi problemi respiratori, ma la buona notizia è che ora è guarito e presto verrà dimesso.

Un mese dopo l’inizio dell’epidemia Codogno dà segnali di una lieve ripresa. Certo non si è ancora tornati alla normalità, ma l‘isolamento sembra funzionare: dai quaranta contagi giornalieri si è passati a meno di una decina, dice il sindaco Passerini. Il picco di contagi nella prima zona rossa è arrivato nei primi giorni di marzo, dopo una settimana di isolamento.

Purtroppo il sistema sanitario versa ancora in una situazione di criticità: all’ospedale di Codogno i medici non hanno il tempo per rispondere alle domande dei giornalisti. A questo pensa Chiara Lepora, la coordinatrice di Medici senza Frontiere a Lodi, dove è presente una squadra di questa organizzazione umanitaria: “Non avrei mai pensato che mi sarebbe capitato di dover dare supporto a un sistema sanitario che funziona molto bene. È che nessun sistema di alcun paese è preparato per gestire un’epidemia come questa“, assicura la dottoressa.

Dieci giorni fa, medici esperti con alle spalle una significativa esperienza in paesi africani sono arrivati a Codogno dove hanno trovato un quadro desolante: negli ospedali non ci sono letti liberi, né posti in terapia intensiva, i farmaci sono finiti e il personale sanitario è esausto, perché deve fare i doppi turni per coprire quelli che sono stati infettati.

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