Flotilla, il governo italiano non finanzia il rientro: Meloni: «I costi li sostengano gli attivisti»

Gli italiani della Global Sumud Flotilla, bloccati ed espulsi da Israele, dovranno organizzare e pagare autonomamente il ritorno in patria; il governo assicura assistenza ma non coprirà i costi del volo, sostenendo che si tratta di un messaggio politico.

Flotilla, il governo italiano non finanzia il rientro: Meloni: «I costi li sostengano gli attivisti»

Il governo italiano ha deciso di non finanziare il rientro degli italiani coinvolti nella Global Sumud Flotilla, fermati dalle autorità israeliane a poche miglia dalla Striscia di Gaza ed espulsi senza ulteriori conseguenze penali. La notizia, riportata da testate nazionali come La Repubblica e La Stampa, evidenzia come il governo mantenga il supporto diplomatico e assistenziale per gli attivisti, ma non intenda coprire i costi del volo di rimpatrio, lasciando agli stessi la responsabilità economica e organizzativa della partenza.

Nessun charter speciale è stato predisposto dalla Farnesina per riportare a casa i cittadini coinvolti. Secondo quanto riferito, la premier Giorgia Meloni ha seguito le vicende in tempo reale, monitorando il tracking della Flotilla direttamente dal suo iPhone durante il Consiglio europeo informale a Copenaghen.

La gestione italiana ha privilegiato la sicurezza dei connazionali, evitando che gli attivisti finissero nelle carceri israeliane, un risultato che il governo definisce comunque positivo. Il piano di rientro è già delineato: i rimpatri volontari degli attivisti italiani potranno iniziare a partire da venerdì 3 ottobre, mentre quelli forzati potrebbero essere programmati a partire da domenica 5. Nonostante le difficoltà logistiche, il governo sottolinea che la decisione di non finanziare il viaggio non rappresenta una misura punitiva, ma un chiaro segnale politico.

Fonti della maggioranza spiegano ai giornali che l’Italia non intende sostenere azioni che, secondo gli uffici di Fratelli d’Italia, presenterebbero legami con organizzazioni come Hamas. La scelta del governo ha suscitato reazioni contrastanti.

Da un lato, viene sottolineato il successo diplomatico nell’assicurare la sicurezza degli italiani coinvolti, dall’altro alcuni osservatori evidenziano come l’onere economico ricada interamente sugli attivisti, creando tensioni e interrogativi sull’equilibrio tra tutela dei cittadini e responsabilità individuale. La vicenda solleva inoltre riflessioni sulla gestione di iniziative civili di sensibilizzazione internazionale, come le flotte solidali, e sul ruolo dello Stato nel bilanciare sicurezza, diplomazia e sostegno concreto ai cittadini all’estero.

Il governo, comunque, conferma che tutta l’assistenza necessaria sarà fornita agli italiani, dal coordinamento con le autorità israeliane fino alla supervisione dei trasferimenti in sicurezza. Gli attivisti, d’altro canto, si preparano a organizzare autonomamente i voli di ritorno, un compito che comporta non solo spese economiche, ma anche la responsabilità di rispettare i tempi e le procedure previste dalle autorità locali. La vicenda, oltre a evidenziare le complessità della politica estera italiana in contesti delicati, segna un momento significativo nella gestione delle relazioni tra cittadini attivi in missioni di solidarietà e lo Stato, con un messaggio politico chiaro e voluto dalla leadership nazionale.

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