ISOLA DEL GRAN SASSO – Fatto fuori a colpi di fentente e finito a colpi di pala, poi gettato nelle acque di un laghetto artificiale per nascondere il corpo. È deceduto così Martino Caldarelli, 48 anni, falegname e un tempo dj, scomparso da casa l’11 aprile scorso e ritrovato senza vita martedì sera in un piccolo bacino nella zona di Corropoli, in Val Vibrata. Oggi, il giorno in cui è stata resa nota la disgrazia, ricostruendone il delitto, avrebbe compiuto 49 anni. Dietro il suo decesso, secondo gli inquirenti, ci sarebbe una trappola ordita da una coppia di fidanzati, Andrea Cardelli, 41 anni di Corropoli, e Alessia Di Pancrazio, 26 anni, originaria di Giulianova. I due lo avrebbero adescato via social con la scusa di un incontro a sfondo intimo, attirandolo nell’abitazione che condividevano da poco, allo scopo di derubarlo di auto e denaro. Entrambi sono stati arrestati. Le accuse per loro sono gravissime: delitto volontario, derubata aggravata e occultamento di salma.
La confessione e il ritrovamento del corpo
È stata la stessa Di Pancrazio, crollata durante l’interrogatorio, a condurre i carabinieri nel luogo in cui era stato abbandonato il corpo di Caldarelli: sul fondo di un laghetto, appesantito da un tronco per impedirne l’emersione. Il bacino si trova a poca distanza dalla casa dove sarebbe stato commesso del delitto, il giorno stesso in cui l’uomo aveva detto ai familiari che si stava recando in palestra a Val Vomano, senza fare mai più ritorno. Il delitto, secondo gli investigatori, sarebbe avvenuto all’interno della camera da letto dell’abitazione. La giovane avrebbe attirato Caldarelli con una conversazione su Facebook lui era una sua vecchia conoscenza per conto del compagno, in gravi difficoltà economiche. Ma qualcosa è andato storto: Martino avrebbe reagito con forza alla comparsa improvvisa di Cardelli che teneva una lama. Ne sarebbe nata una colluttazione, degenerata in un’affronto crudele culminata con coltellate e colpi inferti con una pala. Il delitto si sarebbe concluso all’esterno della casa.
Il trasporto del corpo e il tentato depistaggio
La coppia, dopo il delitto, ha caricato il corpo di Caldarelli sulla sua stessa auto, una Fiat Panda rossa, utilizzando una carriola poi abbandonata nelle campagne assieme allo strumento del delitto. L’auto è stata poi portata in giro per ore: i due ne hanno cambiato la targa con quella di una vettura rubata a Teramo e si sono spostati fino a Giulianova, dove sabato 12 aprile hanno avuto un sinistro. A quel punto, per cancellare le prove, hanno dipinto la macchina di nero e l’hanno incendiata. Ma non è bastato. Le telecamere di videosorveglianza hanno ripreso una figura femminile dai capelli rossi: un dettaglio fondamentale per gli inquirenti. Attraverso il numero di telaio della Panda, i carabinieri hanno identificato l’auto e incrociato i dati con la denuncia di scomparsa presentata dai familiari dell’uomo. Da lì si sono messi sulle tracce dei due sospetti.
La svolta e il tentato delitto simulato
La svolta è arrivata martedì, quando i carabinieri sono intervenuti alla stazione ferroviaria di Alba Adriatica. Qui la donna era stata affrontata dallo stesso compagno, che avrebbe tentato di strangolarla con il filo del freno di una bicicletta nel tentativo di simulare un delitto. Temeva che la giovane potesse crollare e confessare tutto. E così è stato. Davanti ai militari, Di Pancrazio ha raccontato tutto: l’adescamento, il trabocchetto, delitto, il trasporto del corpo e il tentativo di sbarazzarsi delle prove. Il compagno, Andrea Cardelli, si è chiuso nel silenzio e non ha risposto alle domande. Entrambi sono ora detenuti nella casa circondariale di Teramo, assistiti dagli avvocati Tiziano Rossoli e Marco Cerioni. Oggi si attendono gli interrogatori di garanzia, mentre sabato è prevista l’autopsia sul corpo di Caldarelli.
Un secondo episodio di crudeltà
Le indagini hanno inoltre fatto emergere un precedente inquietante: un altro uomo ha denunciato nei giorni scorsi di essere stato sequestrato, picchiato e derubato proprio dalla stessa coppia. Non sapevano di essere già nel mirino dei carabinieri. A seguito di quella denuncia, era già stata disposta una prima misura cautelare a carico dei due. Poi è arrivato il secondo provvedimento, quello più grave, legato al delitto di Martino.
La madre: sentivo che qualcosa non andava
«Sentivo che era successo qualcosa di brutto» ha detto con la voce spezzata la madre di Martino. «Ora almeno posso piangerlo». Caldarelli, disoccupato, aveva scelto di restare accanto a lei dopo il decesso del padre, avvenuta circa dieci anni fa. Viveva una vita semplice, lontano dai riflettori, e nulla lasciava presagire un epilogo così crudele. Il procuratore capo di Teramo, Ettore Picardi, ha parlato di una vicenda che potrebbe essere “sfuggita di mano” agli indagati. Ma ora, grazie al lavoro dei carabinieri e alle confessioni raccolte, il quadro appare sempre più definito.