Turchia, crisi Erdogan: la Borsa crolla, ma il Paese vede la luce

In Turchia, l'Akp di Erdogan non ha più la maggioranza per governare da solo. Decisivi per il crollo dei consensi sono stati il riconoscimento internazionale del Genocidio Armeno, la scoperta dell'alleanza tra il Premier e lo Stato Islamico, ed i suoi metodi dittatoriali

Turchia, crisi Erdogan: la Borsa crolla, ma il Paese vede la luce

Spiragli di luce per la Turchia: dopo una spietata dittatura durata per quasi 13 anni, Erdogan ha perso la maggioranza assoluta. La svolta è di quelle clamorose, destinate a rimanere nelle pagine di Storia di una nazione. Perché Tayyip Erdogan, nonostante tutti i crimini commessi nell’arco dei suoi svariati mandati, era sempre riuscito in un modo o nell’altro a tenersi stretta la poltrona. Ora però è finalmente arrivato il ribaltone: l’Akp ha ottenuto “solo” il 41% dei consensi totali. Ciò significa che, sebbene rimanga per distacco il primo partito del Paese, non ha più i numeri per fare reparto da solo.

Le soluzioni dunque sono due: un governo di coalizione, o le elezioni anticipate. Questa svolta porta con sé dei pro e dei contro, e come di consueto quando s’è araldi di fortune e sventure, partiamo da queste ultime. La lira turca ha perso circa il 5% a quota 2,8 sul dollaro, mentre la Borsa di Istanbul è letteralmente collassata: chiusura a -8,2%. Sconvolgimenti preventivabili, visto che i mercati non proliferano nell’instabilità; ma qui, sostanzialmente, si fermano le brutte notizie. Perché il resto è tutto di guadagnato, soprattutto per i turchi.

Erdogan si è infatti rivelato essere non solo un dittatore disposto a tutto pur di mettere a tacere gli avversari politici, bensì anche un pericoloso fanatico islamista. Solo pochi giorni fa Can Dundar, eminente direttore del Cumhuriyet, era stato arrestato per aver pubblicato uno scoop riguardante la consegna di armi ai fanatici dell’Isis da parte del governo turco. Tayyip Erdogan faceva passare i camion diretti verso lo Stato Islamico classificandoli come “aiuti umanitari“. E per il coraggioso giornalista, si era persino prospettata la pena di morte per spionaggio.

Ma non era un mistero che il Premier turco avesse simpatie particolari per i fondamentalisti islamici, dal momento che fin dalla sua instaurazione al potere, aveva sempre fatto di tutto per riportare la Turchia ad una nuova epoca di oscurantismo religioso. Peraltro riuscendoci, quantomeno parzialmente. Ma gli ultimi mesi gli sono stati nettamente sfavorevoli: prima il riconoscimento del Genocidio degli Armeni da parte di molti Paesi occidentali, nonché del Vaticano; poi la questione dell’alleanza segreta con l’Isis resa pubblica.

Egitto, Israele, Libia, Siria, hanno già cacciato gli ambasciatori turchi dal proprio suolo: praticamente tutti gli Stati che hanno vissuto il tragico sogno della Primavera Araba hanno disconosciuto la sua leadership, dopo che lui aveva provato ad ergersi quale nuova icona del movimento islamista in Oriente ed in Occidente. La Turchia infatti, geopoliticamente, è sempre stata la Terra tra Due Fuochi, la frontiera comune tra due realtà agli antipodi, eppure così vicine. E la millenaria Istanbul, con tutti i suoi tesori, ha sempre prosperato grazie all’influenza di entrambe le culture.

Ma ora l’egemonia del dittatore turco sembra essere finalmente in declino, ed anche in patria non gode più della stessa popolarità che gli aveva permesso di potersi concedere crimini di ogni genere, senza mai pagarne le conseguenze. E per un sostenitore dell’Isis che scende, c’è un icona della Coalizione che sale: Salahettin Demirtas, leader curdo progressista, ha ottenuto uno strabiliante 12,7% dei voti, riuscendo a raccogliere consensi persino tra gli stessi turchi. Mai un curdo era riuscito a conseguire un risultato del genere finora.

Giovane, liberale, ecologista e strenuo difensore dei diritti della comunità LGBT, Salahettin Demirtas è praticamente l’antitesi di Tayyip Erdogan. Adesso è ancora presto per dire cosa accadrà domani; ma ora, finalmente, sembrano iniziare a sussistere i presupposti affinché la Turchia possa realmente tornare a vedere la luce, dopo 13 anni di buio.

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