Cade oggi il nefasto anniversario di uno dei maggiori stermini di massa della storia recente, quel “silenzioso” genocidio armeno ufficialmente riconosciuto da 21 Stati nel mondo, ma che continua paradossalmente a far parlare proprio per la scarsa attenzione mediatica che gli viene tributata. Correva il biennio 1915-16 quando i Giovani Turchi, appartenenti ad un movimento politico monarchico e nazionalista, misero in atto un piano di sterminio operato nei confronti della minoranza armena presente in Turchia; l’Olocausto Armeno, per come passerà alla Storia. Un delirante progetto basato su deportazioni, pubbliche esecuzioni e massacri indiscriminati, perpetrati liberamente lungo le strade dell’Anatolia.
Il declino di un Impero Ottomano oramai al tramonto diede infatti nuovo vigore all’organizzazione dei Giovani Turchi, intenzionati a “ripulire” il Paese dagli irriducibili sostenitori dell’arcaica mentalità imperialista; e tra gli obiettivi del movimento “squadrista” figurava l’omogeneizzazione della Turchia, che doveva necessariamente essere liberata dai nemici del “nuovo Stato costituzionale”. Tra questi, i primi della lista erano proprio gli armeni, una delle più grandi minoranze cristiane dell’Impero Ottomano.
Fu così che venne programmato un piano di eliminazione sistematica dell’armeno, una vera e propria pulizia etnica, mediante la quale i turchi, con la connivenza dell’esercito tedesco, portarono a compimento lo sterminio degli armeni. In quell’orribile biennio di violenze indicibili, la maggior parte degli storici odierni è concorde nello stimare il numero di morti attorno a 1.200.000/1.300.000 di persone. I primi a venire colpiti furono proprio gli intellettuali e gli esponenti di maggior rilievo politico: nella Primavera del 1915 scrittori, filosofi, professori, artisti e delegati parlamentari vennero arrestati, deportati e brutalmente massacrati durante la deportazione verso le zone centrali dell’Anatolia. Più di mille tra le più eminenti “menti armene” vennero così assassinate nel giro di un solo mese.
Ciononostante, il governo turco del gerarca islamista Recep Erdogan si rifiuta ancora oggi di riconoscere quell’interminabile serie di massacri quale genocidio. Non solo: in Turchia, parlare apertamente di Genocidio Armeno viene considerato un atto “antipatriottico”, punibile con la reclusione in carcere dai 6 mesi ai 2 anni. Pochi giorni fa, il 22 Aprile, il Cancelliere Angela Merkel ha utilizzato per la prima volta quella parola che tanto spaventa i revisionisti turchi, in uno storico riconoscimento del genocidio da parte della Germania.
I tedeschi sono stati puntualmente seguiti dall’Austria, ma i grandi assenti figurano essere, ancora una volta, gli Stati Uniti d’America: nonostante Obama avesse promesso già nel 2008 il riconoscimento di quel piano di pulizia etnica sistematica quale genocidio, anche quest’anno il Presidente statunitense ha mancato agli accordi presi in sede di campagna elettorale, evitando accuratamente di pronunciare quella parola che tanto fa venire all’orticaria ad Erdogan. Un gesto di cortesia per il quale Barack Obama ha ricevuto il ringraziamento ufficiale dello stesso Premier turco.
Oggi, mentre gli armeni piangono quel milione e più di morti, la Turchia è in festa: il 24 Aprile è infatti anche l’anniversario della vittoria ottenuta dalla Turchia contro gli Alleati nella famigerata battaglia dei Dardanelli, combattutasi nel corso della Prima Guerra Mondiale. Un modo come un altro per far passare in secondo piano il massacro degli armeni, e spostare l’attenzione del Paese dalla ricorrenza di uno dei più grandi genocidi degli ultimi secoli. Ma per quanto la Turchia possa festeggiare, fino a quando si ostinerà a voler rifiutare l’orribile evidenza, le sue mani continueranno a grondare sangue.