Facebook, dopo una giornata travagliata, che ha scoperto diversi segreti sul modo in cui vengono categorizzate le informazioni da Menlo Park, ha risolto i problemi dovuti al malfunzionamenti di ieri e, nel contempo, rimosso anche diversi account accusati di propagare malware. Tuttavia, i problemi con le istituzioni, in questo caso britanniche e americane, non accenno ad aver tregua.
Come noto, ieri, per molte ore, i client applicativi di Facebook, WhatsApp e Instagram non hanno funzionato bene, con problemi prevalentemente legati alla gestione di immagini, foto (ma anche, in alcuni casi, dei messaggi audio): fortunatamente, in tarda serata, l’emergenza risultava pienamente rientrata, e la stessa azienda di Menlo Park, tramite un cinguettio su Twitter, confermava il lieto fine, attribuendo il malfunzionamento ad una routiniera “operazione di manutenzione”.
Quest’ultima, come osservano diverse riviste di settore, ha permesso di prendere consapevolezza di come funziona l’intelligenza artificiale del social nel categorizzare le foto: infatti, molte delle immagini che non si caricavano recavano una didascalia descrittiva (all’esterno, all’interno, foto con gatto, l’immagine può contenere persone che ballano, o che sorridono) o, addirittura, suggerivano chi potesse essere incluso nella foto grazie al riconoscimento facciale. La motivazione di tutto ciò risiede nel fatto che, sin dal 2016, Facebook utilizza il machine learning per riconoscere e categorizzare le foto, al fine di includervi dei tag informativi per le persone con difficoltà visive (alle quali, appositi software “leggono” il contenuto delle immagini, in base ai metadati ivi inclusi). Quello che, però, non è chiaro è se un simile meccanismo di riconoscimento grafico possa essere usato anche per estrarre informazioni a scopo di profilazione pubblicitaria.
Sospetti a parte, i problemi concreti certo non mancano per Mark Zuckerberg. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, il social – assieme a Google – sarebbe sotto indagine da parte delle autorità di Sua Maestà la regina per l’ipotesi di abuso di posizione dominante: al momento, non sarebbe stata ancora formulata alcun’accusa concreta, visto che il primo rapporto dovrebbe arrivare nel Gennaio del 2020 e la relazione finale esser stilata per il Luglio 2020 ma, in ogni caso, le indagini condotte dall’autorità per la competizione nei mercati, la CMA, andrebbero nella direzione di accertare eventuali danni diretti cagionati ai consumatori dal fatto che i loro dati, ai quali non è mai stato tributato un valore formale, verrebbero sfruttati gratuitamente in ambito inserzionistico/pubblicitario.
Anche dagli USA arrivano problemi, visto che i presidenti delle commissioni finanziarie del Congresso hanno intimato al social di cessare lo sviluppo della criptomoneta Libra perché si vorrebbe prima approfondirne le ricadute, anche in termini di sicurezza informatica, sui mercati finanziari: il timore, nello specifico, è che Libra, potenzialmente usabile da un quarto della popolazione (tanto quanto ha in mano un’app di Menlo Park), agendo al di fuori di qualsivoglia regolamentazione o sorveglianza, possa minare gli equilibri economici, facendo venir meno la stabilità finanziaria. Facebook aveva già spiegato che tale valuta digitale sarà regolata come qualsivoglia altro sistema di pagamento già esistente ma, a quanto pare, occorrono ulteriori approfondimenti, che potrebbero esser presentati il 17 Luglio, giorno dell’audizione ad hoc davanti agli esponenti del Congresso.
Infine, una buona notizia che dimostra come prosegua senza sosta l’impegno di Facebook nel rendere la propria piattaforma un ambiente sicuro, e protetto non solo dalle fake news, ma anche dal malware. La security house israeliana Check Point ha reso noto che Facebook avrebbe chiuso una trentina di account che, dal lontano 2014, diffondevano virus tramite un trucchetto di natura “politica”, proponendo – dietro il click ad alcuni link mascherati – l’accesso a rivelazioni politico-economiche sulla situazione in Libia (con presunti coinvolgimenti della Turchia e del Qatar).
In realtà, ottemperando al click richiesto (in alcuni casi con il proposito di far arruolare nelle forze armate libiche), si scaricavano (da Dropbox, Box, e GDrive) solo dei payload open-source, come SpyNote, Remcos, e Houdini, che permettevano agli hacker di prendere il controllo su computer e terminali mobili, per eseguire diverse azioni pericolose: non è chiaro quante possano essere state le vittime effettivamente coinvolte, ma alcuni dei profili chiusi (es. Libya My People) superavano i 100 mila iscritti.