Fine settimana nero per Facebook che, pur alle prese con un nuovo progetto applicativo, si è vista stoppare in Europa l’esordio di Facebook Dating e, occupatasi di disinformazione e profili doppi, si è trovata bersagliata sia dal fisco americano che da un tribunale russo.
Anche Facebook, dalla scorsa estate, ha un proprio team, battezzato NPE (“per la sperimentazione di nuovi prodotti”) che, in pratica, ha il compito di sviluppare nuove app per conto di Menlo Park, saggiandone poi il consenso presso il pubblico. Ebbene, secondo The Information, il pool in questione, dopo aver presentato il tool Whale, per creare dei meme, ha già messo in campo una nuova creazione, denominata eloquentemente Hobbi che, in sostanza, permette di organizzare – con video e foto – i propri progetti rientranti in varie aree tematiche (cucina, giardinaggio, artigianato, arte, moda, fitness, decorazioni per la casa, etc), in modo non troppo dissimile da Pinterest, sebbene in questo caso la finalità sia quella di documentare e tenere traccia dei progressi in un particolare progetto (distinguendosi in tal modo dal googleiano Tangi, che punta più che altro nel creare mini tutorial video, seppur sempre in ambito fai-fa-te ed hobbystica).
Secondo le prime testimonianze, giunte dai mercati in cui Hobbi è stato lanciato (USA, Colombia, Spagna, Belgio, e Ucraina), per ora su piattaforma iOS, le opzioni di controllo ed editing dell’app sarebbero decisamente meno numerose di quanto in auge nell’editor delle Storie instagrammiane e, in più, anche la parte social non eccederebbe di molto, sostanziata più che altro nella mera condivisione di brevi video attestanti il risultato finale del progetto rendicontato.
In tema di nuovi progetti, per uno che esordisce, come Hobbi, ve n’è un altro che, almeno sul terreno europeo, è stato per il momento stoppato dal garante irlandese per la privacy (DCP, Data protection commission) che ne ha stoppato l’esordio, programmato proprio per San Valentino. Il servizio incriminato sarebbe “Facebook Dating”, la sezione d’incontri del social, del cui varo il DCP avrebbe avuto conferma solo il 3 Febbraio scorso, con un range temporale troppo breve per poter appurare se Facebook, individuate le criticità del suo servizio, avesse anche programmato il modo per affrontarle. Nei giorni scorsi, personale autorizzato del garante irlandese ha visitato gli uffici dublinesi di Facebook e, in tal modo, ha acquisito tutta la documentazione necessaria, esaminata la quale – più avanti – si potrà decidere se far esordire (o meno) l’atteso Cupido in salsa blu.
Anche sul fronte delle interferenze straniere non giungono buone notizie, visto che Facebook ha di recente dovuto stoppare ben 3 campagne di fake news, portate avanti sul social e su Instagram tramite pagine, gruppi, e account falsi: di queste, una era originata in Russia e puntava all’Ucraina, una nasceva dall’Iran e puntava agli USA, e una era acquartierata in Vietnam e Birmania, e riguardava il secondo paese. A ciò va aggiunta, inoltre, la constatazione che, dei 2.5 miliardi di utenti attivi mensili, o MAU, 275 milioni sarebbero account duplicati, gestiti da un utente che ha già un account principale e che ne crea un secondo magari a scopo spam, oppure per conto della propria azienda o del proprio animale domestico.
Se le statistiche in questione non sorridono a Menlo Park, tanto meno lo fanno le istituzioni, che hanno messo nel mirino la holding di Zuckerberg. Secondo quanto viene riferito da oltreoceano, il fisco USA (International Revenue Service) avrebbe intentato una causa al social, presso la U.S Tax Court, con l’accusa di aver evaso le tasse registrando i profitti in paesi con un più comprensivo sistema fiscale: in caso di condanna, la holding in blu potrebbe essere costretta a versare, seduta stante, un saldo di 9 miliardi di dollari (quasi il doppio dell’ultima maxi multa subita).
Anche dalla Russia, precisamente da un tribunale posto nello splendido quartiere moscovita del Tagansky, arriva una sanzione verso Menlo Park, colpevole, al pari di Twitter, di aver disatteso una legge nazionale del 2014 che impone di situare in terra russa i server atti a trattare e ospitare i dati degli utenti russi: la multa, però, è stata più che altro simbolica, visto che i 4 milioni di rubli comminati corrispondono a circa 58 mila euro da versare.