Facebook: algoritmo anti-violenza condiviso, sezione News e class action privacy

Sempre impegnative le settimane in quel di Menlo Park, con quella attuale che si conclude con la condivisione di alcune risorse in ottica anti-violenza, ed il prossimo varo di una sezione News senza, però, farsi mancare una class action in tema privacy.

Facebook: algoritmo anti-violenza condiviso, sezione News e class action privacy

Come per YouTube, anche per Facebook si profila un avvio di fine settimana particolarmente gravido di novità, con diverse primizie che giungono da oltreoceano, a proposito di una collaborazione in tema di know how e di nuovi progetti informativi: ovviamente, anche questa volta, non manca la classica querelle sulla privacy, cagionata da una class action che Facebook non è riuscita, per ora, a stoppare.

La prima iniziativa facebookiana di questo fine settimana rimanda al tema della rimozione dei video vietati, in quanto lesivi dell’altrui proprietà intellettuale, o semplicemente violenti. Tempo fa, la divisione francese di Facebook focalizzata sull’intelligenza artificiale (Fair), assieme all’università italiana di Modena e Reggio Emilia, ha ideato un algoritmo che, inizialmente, è stato impiegato per scovare le violazioni del diritto d’autore, allorché venivano condivise sul social porzioni di film (a volte interi) o trasmissioni usualmente sotto copyright, in modo da poter intervenire per tempo.

In seguito, quest’algoritmo è stato usato anche per rintracciare e rimuovere contenuti violenti: ora, da Menlo Park è arrivata la decisione di condividerne pubblicamente il codice tramite la piattaforma GitHub, in modo che chiunque possa aggiungervi liberamente il proprio contributo (es. un’associazione contro la violenza femminile potrà addestrare quest’AI a riconoscere determinate forme di violenza), e che anche realtà più piccole, magari sprovviste dei grandi mezzi di Facebook, possano beneficiare di questo servizio, onde rimuovere certi contenuti dalle proprie piattaforme evitando, in siffatto modo, che un filmato, rimosso dalle Pagine in blu, rimanga virale continuando a circolare altrove.

Non meno interessante è la seconda iniziativa in blu, appena rendicontata dal Wall Street Journal. Non è la prima volta che Facebook s’interessa all’informazione, basti pensare al sostegno verso quella locale, ed al varo della feature Instant Articles (con gli editori remunerati mediante cessione di una fetta degli introiti pubblicitari). Ora, il successivo step in questo settore consisterebbe nel prossimo esordio (in autunno), nel social (tramite una tab dedicata), di un’apposita sezione informativa dedicata alle notizie, in vista della quale Menlo Park avrebbe avviato le trattative con importanti realtà editoriali, quali Bloomberg (notizie finanziarie), Dow Jones (non l’indice della Borsa, ma la rivista online, sempre economica, di News Corp), Washington Post, e Walt Disney (per ABC News).

La proposta messa sul piatto da Zuckerberg prevede un accordo triennale in cui ai partner verrebbe riconosciuto un forfait annuo di 3 milioni di dollari, e la possibilità di decidere cosa mettere a disposizione, se l’intero articolo, o solo il titolo e l’anteprima dello stesso. Ad oggi, non è ancora noto lo stato d’avanzamento delle trattative, né chi abbia già aderito al progetto che, impostato sul principio dei pagamenti anticipati ai content creator, potrebbe ingolosire più di un partner, al pari di quanto avvenuto per la sezione multimediale Watch.

Tra tanti progetti, Facebook potrebbe doversi occupare anche del dover fronteggiare una nuova grana in ambito privacy. Nelle scorse ore, la Corte d’Appello ha ritenuto degna di un approfondimento, e quindi di proseguire il suo corso, la class action intrapresa, nel 2015, da tre cittadini dell’Illinois che lamentavano d’aver subito un danno dall’implementazione del riconoscimento facciale, usato da Facebook – sin dal lontano 2010 – per taggare le persone nelle foto caricate sul social (e per avvertire d’essere stati taggati).

Secondo le leggi dello Stato americano, da Menlo Park non vi sarebbe stata un’adeguata informazione in merito, né l’ottenimento – richiesto – del consenso preventivo a che l’informazione del proprio volto fosse trattata e, di conseguenza, in caso di colpevolezza, il social – intenzionato a ricorrere anche presso la Corte Suprema per fermare la procedura – potrebbe essere costretto ad una multa tra il miliardario e il multimilionario.

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