Dalla cecità alla lettura: il microchip che apre una nuova era per la vista

Un microchip con intelligenza artificiale ridà la capacità di leggere a pazienti con degenerazione maculare secca, aprendo nuove prospettive per la medicina visiva.

Dalla cecità alla lettura: il microchip che apre una nuova era per la vista

Un piccolo impianto elettronico guidato dall’intelligenza artificiale sta trasformando radicalmente la vita di pazienti affetti da atrofia geografica, la forma più avanzata della degenerazione maculare secca legata all’età. Per anni condannati a vivere senza visione centrale, questi pazienti hanno finalmente potuto riconoscere lettere, numeri e parole grazie al microchip PRIMA, sviluppato da Science Corporation in collaborazione con centri come l’University College London e il Moorfields Eye Hospital.

L’impianto, poco più grande di una scheda SIM, viene posizionato sotto la retina centrale tramite un intervento chirurgico di circa due ore e funziona in combinazione con occhiali a realtà aumentata collegati a un piccolo computer da cintura. La fotocamera integrata cattura la scena e invia segnali al chip sotto forma di raggio infrarosso, che vengono convertiti in impulsi elettrici diretti al nervo ottico. L’AI interpreta queste informazioni e le traduce in immagini percepibili dal cervello, creando una forma di visionedigitale” che restituisce ai pazienti la capacità di leggere e distinguere contrasti senza compromettere la visione periferica residua.

Durante il percorso di riabilitazione, che dura diverse settimane, i pazienti imparano a muovere lo sguardo, regolare lo zoom e riconoscere lettere e simboli, recuperando così un livello di autonomia e di partecipazione alla vita quotidiana che prima era impossibile. I risultati dello studio, pubblicati sul New England Journal of Medicine, mostrano che l’84% dei partecipanti è riuscito a leggere in media cinque righe della tabella oftalmica, un progresso straordinario considerando che molti non distinguevano nemmeno le sagome prima dell’impianto.

Tra i casi più significativi c’è quello di Sheila Irvine, che dopo anni di oscurità è tornata a leggere cruciverba, etichette e libri, descrivendo l’esperienza come “emozionante e liberatoria”. Gli esperti sottolineano come il PRIMA non sia solo un dispositivo medico, ma una vera e propria rivoluzione nella visione artificiale: oltre a ripristinare la vista centrale, contribuisce a migliorare l’umore, l’autonomia e la qualità della vita dei pazienti. Con la possibilità di essere impiantato da chirurghi retinici formati in qualsiasi parte del mondo, questo impianto potrebbe aprire la strada a una terapia accessibile a milioni di persone affette da maculopatia secca, segnando un passo decisivo verso un futuro in cui la cecità parziale non implica più l’impossibilità di leggere o interagire con l’ambiente circostante.

L’integrazione tra bioingegneria e intelligenza artificiale mostra così il potenziale di restituire capacità fondamentali perse a causa di malattie degenerative, confermando che la tecnologia può diventare uno strumento concreto per migliorare la vita umana anche nei casi più complessi.

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