Il referendum sulla cittadinanza italiana, tenutosi l’8 e 9 giugno 2025, ha segnato un risultato inatteso: il 34,5% dei votanti ha detto “No” alla proposta di ridurre da dieci a cinque anni il requisito di residenza legale per i cittadini extracomunitari maggiorenni che desiderano richiedere la cittadinanza.
Promosso da +Europa, con il sostegno di Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione, Italia Viva e numerose associazioni, il quesito mirava a semplificare l’accesso alla cittadinanza senza modificare altri requisiti, come la conoscenza della lingua italiana, un reddito stabile e una fedina penale pulita. Tuttavia, nonostante la mobilitazione, specialmente tra i giovani, e una campagna che ha raccolto oltre 637.000 firme, il referendum non ha raggiunto il quorum del 50% più uno, fermandosi a un’affluenza del 30,6%.
Più sorprendente, però, è l’alta percentuale di “No”, che ha triplicato i voti contrari rispetto ai referendum sul lavoro, dove i “Sì” hanno dominato con l’87-88%. Il dato rivela una spaccatura significativa: molti elettori, inclusi iscritti alla CGIL, che ha promosso i quesiti sul lavoro, hanno votato “Sì” per le tutele lavorative ma “No” alla cittadinanza. Questo suggerisce una sensibilità a narrazioni populiste anti-immigrazione, anche tra chi tradizionalmente sostiene posizioni progressiste.
I circa 9 milioni di “Sì” sono stati lontani dalla soglia di 12 milioni indicata dal Pd come segnale politico contro il governo Meloni, che invece aveva invitato all’astensione. La premier, insieme a Lega e Fratelli d’Italia, ha capitalizzato il risultato, con Matteo Salvini che ha ribadito la necessità di regole più severe per la cittadinanza. Il dibattito sulla cittadinanza si conferma polarizzante.
Forza Italia, pur riconoscendo il tema, critica il referendum come “un’arma impropria”, proponendo invece lo Ius Italiae, che lega la cittadinanza a dieci anni di studi in Italia. Il Pd, invece, spinge per lo Ius Scholae, includendo anche i percorsi prescolastici. Attualmente, 18 proposte di riforma giacciono in Parlamento, ma nessuna discussione è stata avviata, evidenziando un immobilismo politico che il referendum sperava di scuotere.Il risultato, tuttavia, non è solo una sconfitta per i promotori.
L’alta percentuale di “No” tra i votanti indica che il tema della cittadinanza tocca corde profonde, non solo tra gli elettori di destra, ma anche in una fetta del mondo progressista, forse preoccupata da un’integrazione percepita come troppo rapida. I sostenitori del “Sì” sottolineano che cinque anni di residenza, già standard in molti Paesi europei, non equivalgono a un “regalo” della cittadinanza, dati i requisiti stringenti. Eppure, il 35% di “No” dimostra che la narrazione di una cittadinanza come privilegio da meritare resta forte. Questo esito invita a una riflessione: il referendum ha messo in luce un’Italia divisa, dove la solidarietà verso i “nuovi italiani” si scontra con timori culturali e identitari. Per il futuro, sarà cruciale affrontare il tema con un dialogo parlamentare inclusivo, capace di superare le polarizzazioni e rispondere alle esigenze di una società sempre più multiculturale.