La commissione d’inchiesta parlamentare sulla scomparsa di Emanuela Orlandi potrebbe essere annullata. Già da qualche giorno il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, ha sbraitato contro le ultime indagini della Procura di Roma che hanno chiamato in causa lo zio Mario Meneguzzi, sostenendo che questo è un modo per depistare le indagini e convincere il Senato a bocciare l’inchiesta del Parlamento.
Non ci sono però solo gli ultimi sviluppi sul caso Orlandi a far nascere il dubbio sull’utilità di una commissione che non avrebbe senso di esistere se la chiave della scomparsa di Emanuela fosse da ricercarsi nella sua famiglia. Ma c’è anche l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha respinto l’idea che il Parlamento possa occuparsi di questioni che sono di stretta competenza della magistratura. “Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate”, aggiungendo che “non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura”. Queste la dichiarazioni dell’inquilino del Viminale.
Mattarella non ha citato espressamente il caso Orlandi, ma le sue parole sono state un monito per quanti intendono usare la Camera dei Deputati per sostituirsi ai Palazzi della Giustizia. Sul caso Orlandi, infatti, sono state già aperte due indagini: una della Procura Vaticana e un’altra della Procura di Roma. Per la prima volta i due organismi giudiziari collaboreranno tra di loro, scambiandosi informazioni e documenti, per tentare di risolvere una volta e per tutte il dramma della ragazza sparita a Roma nel 1983. Per il capo dello Stato, una terza inchiesta, aperta dal Parlamento, rischierebbe di creare solo confusione, ostacolando le indagini della magistratura italiana e vaticana, anche perché-come ha fatto notare il giornalista Pino Nicotri-Pietro Orlandi potrebbe pretendere che vengano ascoltate dalla commissione parlamentare solo persone a lui gradite, persone disposte ad avvalorare la pista vaticana.
Matteo Renzi ha infatti osservato: “Che senso ha fare una commissione di inchiesta del Parlamento italiano per attribuire a Papa Giovanni Paolo II responsabilità nella terribile vicenda Orlandi?”. Sono ormai anni che Pietro Orlandi punta il dito contro il Vaticano, accusandolo di omertà se non addirittura di colpe sulla scomparsa di sua sorella. Accuse finora lanciate senza avere prove in mano ma basandosi solo su testimonianze di personaggi discutibili, come il pregiudicato romano Marcello Neroni, che ha lanciato gravi accuse contro Giovanni Paolo II, sostenendo che la sera usciva in incognito per rimorchiare ragazzine da portare a letto. Accuse improntate sul nulla assoluto e che rievocano la triste vicenda di Pasquale Barra che accusò ingiustamente Enzo Tortora di essere un camorrista.
Insinuazioni che hanno spinto anche papa Francesco a intervenire per difendere il papa polacco, parlando di “illazioni offensive e infondate” e che hanno urtato non poco la sensibilità di milioni di fedeli. Molti dei quali hanno avanzato il sospetto che Pietro Orlandi sia manipolato da qualcuno che punta a infangare la memoria di Woytila in tutti i modi. In questo caso, una eventuale commissione parlamentare d’inchiesta dovrebbe indagare anche su Giovanni Paolo II, magari chiedendo di ascoltare prelati che, appartenendo allo Stato Pontificio (quindi a uno Stato autonomo), potrebbero anche rifiutarsi di essere convocati. Il rischio c’è e avrebbe anche un costo. Infatti, mentre l’ufficio del promotore di giustizia vaticano e la procura di Roma proseguono nelle loro indagini, anche i parlamentari sarebbero chiamati ad indagare in un organismo che dovrebbe costare 50mila euro l’anno tra personale, locali e strumenti operativi vari.