Il dibattito sulla riforma della giustizia proposta dal governo di centrodestra, che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, si avvia verso un referendum popolare che potrebbe tenersi tra marzo e aprile. Dopo l’approvazione definitiva in Senato, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi, la legge dovrà ora essere sottoposta al giudizio degli elettori.
La misura, destinata a ridefinire profondamente la struttura e l’indipendenza della magistratura italiana, ha diviso sin dall’inizio il fronte togato e politico. Due protagonisti storici della giustizia, Luca Palamara (ex presidente dell’ANM, coinvolto in polemiche sulle “toghe politicizzate”) e Antonio Di Pietro (simbolo di Mani Pulite e fondatore dell’Italia dei Valori), hanno preso parola pubblica sul tema, offrendo spunti cruciali per la discussione nazionale.Palamara si è dichiarato favorevole alla discussione sulla separazione delle carriere, sottolineando come il sistema attuale abbia mostrato limiti evidenti e zone d’ombra nel rapporto tra magistratura e politica.
In diverse interviste, l’ex presidente dell’ANM invita però alla prudenza: “La vera posta in gioco non è solo la distinzione tra giudici e PM, ma la tutela dell’indipendenza della magistratura. Bisogna evitare che la riforma diventi uno strumento per accrescere il controllo dell’esecutivo sulla giustizia, minando quel bilanciamento dei poteri previsto dalla Costituzione”.
Secondo Palamara, la logica di rafforzare la trasparenza delle carriere e rendere più limpidi i rapporti interni alla magistratura può essere condivisibile, ma occorre evitare “effetti collaterali” come una eccessiva politicizzazione nei processi di nomina e gestione delle funzioni giudiziarie. Invita quindi i cittadini ad ascoltare tutte le posizioni prima di esprimersi nel referendum primaverile.
Antonio Di Pietro, che per oltre trent’anni ha esercitato le funzioni di PM e giudice, si è schierato apertamente a favore della riforma e del Sì al referendum. “Separare le carriere è dare piena attuazione all’articolo 111 della Costituzione”, ha affermato in più occasioni, “la giustizia italiana deve garantire che chi giudica non sia legato a chi accusa, per avere davvero un giudice terzo”.Di Pietro, pur criticando alcune modalità della riforma — come il sorteggio dei membri del CSM e l’Alta Corte che toglierebbe il potere di giudizio interno al Consiglio Superiore — sostiene che sia fondamentale rompere il “strapotere delle toghe” e favorire un sistema che responsabilizzi i magistrati.
“Non si può più difendere la giustizia domestica, serve trasparenza e responsabilità. Il timore che la separazione porti i PM sotto la ‘sottomissione’ del governo è una falsa paura, bisogna spiegare bene ai cittadini i veri motivi della consultazione popolare”. L’approvazione definitiva della riforma, promossa dal centrodestra (con Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia in prima linea), rilancia la questione dell’indipendenza della magistratura e del rapporto con la politica. Italia Viva si è astenuta, mentre PD, Verdi-Sinistra e M5S hanno votato contro. In primavera gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi, senza quorum, sulla nuova architettura costituzionale. La sfida sarà spiegare agli elettori, al di là delle polarizzazioni e dei titoli a effetto, quali sono i veri effetti della riforma su giustizia, trasparenza e bilanciamento dei poteri: una scelta che segnerà a lungo il sistema giudiziario italiano.