Regionali Sicilia: perché la sfida per Palazzo d’Orleans è un test nazionale.

Le elezioni regionali siciliane del Novembre prossimo si avvicinano talmente tanto che tutti gli schieramenti hanno iniziato a sfidarsi anche sul profilo tattico-strategico che il risultato di queste elezioni assumerà anche a livello nazionale.

Regionali Sicilia: perché la sfida per Palazzo d’Orleans è un test nazionale.

Il prossimo Novembre, i siciliani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Regione e i nuovi deputati dell’Assemblea Regionale Siciliana. Quando mancano poco meno di due mesi, gran parte degli schieramenti ha gia individuato il proprio candidato e contestualmente definito il perimetro della coalizione chiamata a sostenerli sul territorio.
La formula del ticket con Armao, lanciata da Berlusconi per ricompattare il centrodestra intorno a Nello Musumeci, sembra essere stata copiata anche dal Partito Democratico e da Alfano, che proprongono infatti l’accoppiata Micari-La Via. E mentre i Cinquestelle per primi hanno deciso su chi puntare, scegliendo Cancellieri, la sinistra radicale pensa ad un proprio candidato di bandiera.

Dilungarsi sui retroscena e sui negoziati che hanno portato ogni coalizione a definirsi e poi a puntare su un candidato appararirebbe anacronistico. D’altra parte, tutto ciò rientra nella fase di preparazione alla battaglia. Lo scontro è tutt’altra cosa, e tutti i partiti lo sanno. Tanto più che la battaglia per conquistare Palazzo d’Orleans arriva a pochi mesi dalla Primavera 2018, periodo in cui, settimana più, settimana meno, si terranno anche le elezioni Politiche.

Ammesso e non concesso che le Camere non vengano sciolte anticipatamente, la legislatura scade il 15 Marzo e da quel momento, entro 70 giorni, i seggi dovranno aprirsi. E se fino a qualche tempo fa era la data del voto ad essere considerata tatticamente importante, ad oggi la politica ritiene che il punto vero della questione sarà l’impatto mediatico della sfida sicilina. Prima ancora anche solo di pensare alla legge elettorale, leader e partiti vogliono misurarsi sul campo. Tutti vogliono la prova dei numeri, quelli reali. Per quanto infatti un sondaggio si possa ritenere autorevole, non c’è miglior sondaggio di contare le preferenze degli italiani.

Come in tutte le battaglie, c’è chi vince e c’è anche chi perde. Chi vincerà in Sicilia acquisirà senza dubbio quantomeno un vantaggio tattico nella sfida del 2018. Ecco perchè, leader e partiti, sono quantomai divisi sul significato da attribuire a queste regionali siciliane. Matteo Renzi, forse annusando la sconfitta che i sondaggi gia segnalano, e probabilmente per evitare assalti pericolosi alla sua segreteria, si è già smarcato. Per Renzi, ciò che succede in Sicilia è fondamentale ma esclusivamente a livello regionale e infatti non fa altro che ripetere che chiunque dovesse vincere conquisterà solo le prime pagine dei giornali per qualche tempo e poi si tornerà tutti ai blocchi di partenza. Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda si posiziona Silvio Berlusconi: per il leader di Forza Italia, considerare le elezioni siciliane come un mero test nazionale sarebbe mortificante per tutti i sicialiani già alle prese con i tanti problemi che li affliggono. Chi invece punta tutto sulla Sicilia è il Movimento 5 Stelle: da qui nel 2012 iniziò la cavalcata verso il 25% del Febbraio 2013, mentre questa volta invece, i pentastellati alzano il tiro: vogliono l’Isola per arrivare a palazzo Chigi. E se anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni credono che vincendo in Sicilia si possa poi tirare la volata per il centrodestra al governo, a sinistra vale il principio inverso: per gli oppositori di Renzi, dimostrare che scegliendo Alfano piuttosto che MdP si perde, è fondamentale in vista dei futuri scenari poltici.

Quel che è sicuro ormai, è che comunque vada, a prescindere da chi vincerà, i numeri che usciranno fuori dai seggi siciliani, irromperanno in maniera dirompente nel dibattito politico nazionale, andando ad influenzare anche le elezioni di Primavera. Se infatti, come pare assai probabile, il sistema elettorale dovesse rimanere quello attuale, Consultellum, proprio gli equilibri regionali diventeranno fondamentali. L’attuale sistema elettorale, stabilisce che per il Senato le circoscrizioni coincidano con le Regioni, prevendendo tra le altre cose una soglia di sbarramento all’8% per i singoli partiti, e al 3% per i partiti coalizzati. Come ci insegna lo scenario post voto del 2013, gli equilibri al Senato, diventano fondamentali per potere o meno arrivare alla formazione di un governo, piuttosto che determinare una prematura fine della legislatura. Nel 2013, nonostante una vittoria di misura a livello nazionale del centro-sinistra, il centro-destra vinse in molte regioni, arrivando ad eleggere un numero maggiore di senatori. Ciò potrebbe senz’altro ripetersi nel 2018. Proprio per questo, ognuno cerca di tirare l’acqua al proprio mulino ed evitare pericolosi contraccolpi.

Per Matteo Renzi, lo scenario di un Pd terzo in Sicilia, dietro a 5 Stelle e centro-destra, è politicamente devastante. Per quanto lui possa ostentare sicurezza e tranquillità, se vorrà tornare a palazzo Chigi, gli equilibri a livello regionale contano e vanno curati. Anche nel momento in cui Silvio Berlusconi afferma di non credere nella valenza nazionale di un risultato regionale, è perchè, neanche tanto in fondo, lui preferisce curare una politica dei due forni, piuttosto che inseguire Salvini. Ciò nonostante, anche per Berlusconi gli quilibri locali appaiono molto rilevanti, soprattutto in vista di future trattative post-elettorali, in cui qualche senatore in più da spendere fa sempre comodo. Il Movimento 5 Stelle punta ad accreditarsi come forma di governo credibile e non solo come opposizione eterna, e dopo l’insuccesso quantomeno mediatico dell’amministrazione Raggi, conquistare una terra particolare quale la Sicilia, gli fornirebbe sicuramente una posizione di vantaggio da cui partire per arrivare al Governo. Tutti gli altri protagonisti in campo, più che per questioni tattiche, puntano alla Sicilia per farsi conoscere sotto una veste diversa da quella tradizionale, allo scopo di riuscire a diventare elettoralmente trasversali. Matteo Salvini ad esempio, vorrebbe essere ricordato non solo per le ruspe e i cori anti meridionali. Così come D’Alema, Pisapia, Bersani e tanti altri ci tengono a far pesare la forza elettorale di un programma di sinistra-sinistra, per tenatre di far ragionare Renzi e farlo desistere dal progetto del partitop della Nazione con Alfano.

Che dire insomma, la partita siciliana viene già percepita come un primo tempo di una partita più grande. E alla partita dei siciliani per una Sicilia diversa chi ci pensa?

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