Quando si indice un referendum, al popolo si offre la possibilità di esercitare la propria sovranità in maniera diretta, senza mediazioni o possibilità che il voto popolare venga manipolato. In una consultazione refendaria infatti, non si eleggono rappresentanti che dovranno rappresentarci e a cui delegheremo il nostro potere decisionale (e l’Italia sa fin troppo bene che le persone chiamate teoricamente a rappresentare ed applicare la volontà popolare spesso manipolano il voto degli elettori per veicolare unicamente i propri interessi).
Un quesito referendario è una domanda a risposta secca. Due ipotesi: si o no. Ed a questo punto che la volontà popolare trionfa e va inderogabilmente rispettata. Di solito, i referendum vengono convocati per consultare l’elettorato su scelte particolarmente cruciali e vincolanti; ne sono un esempio il referendum per l’indipendenza scozzese, per la Brexit e per l’indipendenza della Catalogna, solo per riportare esempi recenti.
Nel nostro paese la tradizione referendaria è lunga e storicamente molto importante. Su un referendum è nata la Repubblica, su di un risultato referendario poggia le sue basi il divorzio, così come la scelta di abbandonare il nuclerare come fonte di energia. Più recentemente, un tentativo di modificare la Costituzione è stato respinto proprio dagli italiani mediante un referendum.
Il referendum del 22 ottobre, si terrà invece solamente in Lombardia e Veneto, ma inevitabilmente avrà ricadute politiche anche nazionali. Il Presidente della Regione Lombardia, Maroni, ha realizzato una delle sue promesse elettorali più sbandierate, facendo dell’autonomia fiscale uno dei propri cavalli di battaglia. Quello che sostiene Maroni, è che se le tasse dei Lombardi, anzichè transitare da Milano fin giù a Roma, per poi ritornarne molte di meno su in Lombardia, rimanessero direttamente nella città della Madonnina, la Regione potrebbe migliorare i propri servizi a favore del cittadino, incentivare e investire su iniziative e opere per il territorio, e diminuire la pressione fiscale.
Essendo la Lombardia una delle regioni più ricche d’Europa, sicuramente non avrebbe problemi ad essere autosufficiente. Teoricamente, in Lombardia tutti i partiti sono schierati per il si all’autonomia, tranne qualche distinguo tra le fila dell’opposizione che lamenta gli ingenti costi sostenuti. In Veneto invece, il quesito non riguarda tanto l’autonomia fiscale, ma una maggiore autonomia del governo regionale dall’esecutivo centrale.
Ciò che va assolutamente ricordato, è che il voto non sarà giuridicamente vincolante, poichè il referendum è di tipo consultivo. Sicuramente, una vittoria dei governatori della Lega, gli darebbe maggiore potere contrattuale nelle trattative con lo stato centrale. Nello stesso momento, espressa forte e chiara la volontà popolare, non si potrà ignorarla.
Appuntamento alle urne quindi per tutti i lomabrdi e i veneti il 22 Ottobre, mentre tutti noi altri “italiani” aspettiamo di vedere gli effetti nazionali di questi due Referendum.