L’autunno dello scontento di Matteo Salvini

Il caso Morisi proprio non ci voleva per il segretario Matteo Salvini, tanto più in un momento nel quale la Lega sta ridefinendo i suoi equilibri interni

L’autunno dello scontento di Matteo Salvini

Per Matteo Salvini non si può certo dire che questo sia un buon periodo. Ai mali di pancia che gli sta procurando un partito al cui interno gli schieramenti pro o contro il governo Draghi si vanno divaricando, si è aggiunta la grana Luca Morisi, il guru social del segretario della Lega indagato dalla Procura di Verona per cessione e detenzione di stupefacenti.

Qualunque sia l’esito del procedimento giudiziario che è ancora nelle fase iniziale e che presenta ancora molti lati da chiarire, è evidente che questa vicenda non fa bene al Carroccio che teme, a ragione, ripercussioni negative sul voto di domenica. 
Morisi intanto ha dato le dimissioni ammettendo che la brutta storia che lo vede protagonista ha alla base fragilità esistenziali e “rappresenta una caduta come uomo”.

Salvini, sulle prime, è stato colto di sorpresa e non si è sbilanciato. Poi si è arrabbiato, ma ha pubblicato on line un post improntato ai valori dell’amicizia: “Quando un amico sbaglia e commette un errore che non ti aspetti, e Luca ha fatto male a sé stesso più che ad altri, prima ti arrabbi con lui, e di brutto. Ma poi gli allunghi la mano, per aiutarlo a rialzarsi. Ti voglio bene amico mio, su di me potrai contare. Sempre”.

Al di là del fondamentale principio giuridico della presunzione di innocenza che, evidentemente, vale per tutti e anche apprezzando il sincero tratto di umanità che traspare dalla dichiarazione, Matteo Salvini sa perfettamente che non può liquidare l’accaduto come se lo riguardasse solo di striscio.

Luca Morisi, che di recente era entrato a far parte della segreteria politica della Lega, non è un militante qualunque ma il suo braccio destro, responsabile della gestione della comunicazione e della sua immagine sui social, colui che, insieme al capo, ha creato dal nulla “la Bestia”, una vera e propria macchina da guerra improntata a uno stile aggressivo e urlato che ha pagato perché ha portato il partito da uno scarno 4-5 % del 2012 al primato di primo partito italiano.

L’artefice era questo giovanotto che si mise in mostra e si fece ingaggiare per la sua capacità realizzare una comunicazione battagliera, a tratti verbalmente violenta ma efficace, nella quale i militanti sembravano riconoscersi. Ma non tutti. La vecchia Lega, quella più legata al fondatore Bossi, a Giorgetti, ai governatori delle regioni del nord, più popolare e più vicina alle posizioni meno oltranziste di Forza Italia faceva buon viso a cattivo giuoco, anche perché il partito mieteva consensi a più non posso. Ma ora potrebbe essere arrivato il momento del riscatto.

Saranno le urne a dire chi aveva ragione, ma è probabile che, comunque vada, non sarà più la stessa Lega di prima.

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