Il presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi (e di Mirella Gregori), Andrea De Priamo, si è detto convinto che la Commissione Bicamerale riuscirà a giungere quanto meno a una verità storica sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. In questa ottica, messa da parte la pista vaticana, una delle piste maggiormente prese in esame per spiegare la sparizione di Emanuela è la cosiddetta pista amicale e parentale. Una pista già presa in considerazione dalla Procura di Roma la quale sembra concentrata esclusivamente su questa.
Per quanto Pietro Orlandi, che insiste nel puntare il dito contro la Santa Sede, appoggiato in questa sua “crociata” da una parte dei media, insista a respingere con forza questa ipotesi, il presidente De Priamo ha detto che bisognerà prendere in considerazione un possibile coinvolgimento anche di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela, nonostante su questo caso non ci siano attualmente elementi di riscontro solidi. In realtà, elementi di riscontro in tal senso potevano essere stati scoperti dal pm Domenico Sica il quale si disse convinto che dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi si nascondeva una brutta storia con “un adulto vicino alla ragazza”, alludendo proprio a Mario Meneguzzi, della cui colpa, secondo il pm Ilario Martella, Sica era più che convinto.
Ma in base a quali elementi Domenico Sica era certo di questa sua convinzione? Le risposte potrebbero essere tre. Tanto per cominciare, Sica non rimase mai convinto dell’alibi di Mario Meneguzzi. L’uomo disse che il 22 giugno 1983 si trovava in vacanza a Torano, un paese vicino Rieti, ma a parte i familiari, le cui testimonianze, in mancanza di altri riscontri imparziali, in sede giudiziaria valgono meno di zero, nessun altro può confermarlo. Inoltre, Torano non si trova in un posto “lontanissimo”, come ha riferito Pietro Orlandi in conferenza stampa. Dista appena cento chilometri da Roma. Raggiungibile in un’ora di viaggio. Se si considera che Ercole Orlandi disse di aver telefonato il cognato solo a mezzanotte, cioè cinque ore dopo la scomparsa della figlia, nulla vieta di pensare che Mario Meneguzzi, in linea teorica, poteva fare una capatina a Roma tornare e Torano in poco tempo.
C’è poi un altro particolare che forse a Sica non dovette sfuggire. Nella denuncia di scomparsa presentata alla polizia, Natalina Orlandi disse che Emanuela, la sera della sparizione, indossava una camicetta bianca. Lo zio Mario, invece, disse all’Ansa che la nipote portava una maglietta bianca. Un particolare, il secondo, confermato anche da Raffaella Monzi, una delle ultime compagne di Conservatorio di usica a vedere Emanuela, che in una intervista rilasciata all’Unità nel 1993 confermò che Emanuela indossava una maglietta. Adesso, se lo zio si trovava a Torano, come faceva a sapere che la nipote portava una maglietta? E come mai sui manifesti che tappezzarono i muri di Roma la maglietta sparì per magia e comparve di nuovo la camicetta? Un errore o un passo falso?
La terza risposta potrebbe essere racchiusa in un dettaglio che se verificato potrebbe tagliare la testa al toro. Il giorno della scomparsa di Emanuela, un vigile urbano, Andrea Sambuco, riferì di aver visto una ragazza simile a Emanuela Orlandi a colloquio con un uomo appena uscita dalla scuola di musica. I due ufficiali tracciarono anche un identikit dell’uomo. Il profilo che venne fuori aveva aveva una sorprendente somiglianza proprio con il ritratto di Mario Meneguzzi. La versione ufficiale vuole che Sambuco fu interrogato solo nel 1985 dal giudice Ilario Martella, descrivendo l’uomo a colloquio con Emanuela Orlandi, ma le cose non stanno affatto così. Leggendo un articolo del quotidiano L’Unità del 29 luglio 1983, si nota che Sambuco fu convocato da Sica già il 27 luglio 1983, ma l’uomo non si presentò.
Questo dimostra che Sica era a conoscenza della presenza di un testimone oculare. Il dato da mettere in risalto è che Sambuco alla fine sarà interrogato da Domenico Sica. Fu lo stesso Sambuco, dopo essere andato in pensione, a riferire al giornalista Pino Nicotri di “non aver mai parlato di Avon né con i carabinieri né con Domenico Sica quando mi ha interrogato”. Come si vede, non è vero che Sambuco fu interrogato da Martella solo nel 1985, ma anche da Sica nel 1983. La domanda da porsi è questa: “In che giorno e mese Sambuco fu convocato e interrogato da Sica?”. La risposta a questa domanda potrebbe essere cruciale perché se fosse avvenuta a settembre del 1983, dopo che Sica aveva saputo delle presunte molestie sessuali di Mario Meneguzzi su Natalina Orlandi, questo non vieta di pensare che Sica possa aver mostrato a Sambuco una foto di Meneguzzi per sapere se l’uomo visto parlare con quella che si suppone era Emanuela fosse lui, ricevendo da Sambuco una risposta affermativa.
Questo potrebbe spiegare i motivi per cui Sica era convinto delle responsabilità di Mario Meneguzzi, facendolo anche pedinare. Da notare che il pedinamento da parte della Polizia Giudiziaria rientra nell’ambito delle indagini preliminari. Il che lascia ipotizzare che Sica potrebbe aver inserito il nome di Mario Meneguzzi nel registro degli indagati a sua insaputa, facendolo poi seguire dai carabinieri nel tentativo di raccogliere prove che lo inchiodassero alle sue responsabilità, prima che qualcuno avvisasse lo zio di Emanuela di avere la polizia alla costole facendo saltare l’operazione.
A quel punto, forse anche su pressioni giunte dall’esterno, Sica decise di chiudere tutti i documenti in un cassetto, lasciando il posto al collega Ilario Martella. Con una nota stonata: Sica trasmise a Martella anche i documenti che aveva raccolto sul caso Orlandi, ma quei documenti non giunsero mai a destinazione. Come mai? Forse perché lì c’erano gli elementi che portarono Sica a puntare lo zio di Emanuela Orlandi? Se le cose stessero così, qualcuno adesso avrà il coraggio di tirarli fuori?