La Commissione Parlamentare d’Inchiesta messa in piedi per indagare sul giallo di Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma nel 1983, ha compiuto un anno esatto dalla sua istituzione e il vicepresidente della Commissione, Roberto Morassut, si è detto contento del lavoro finora svolto, oltre a ritenersi fiducioso che si possa giungere a una verità quantomeno storica sulla sparizione della giovane cittadina vaticana.
Le persone audite sono state tante e tante ancora dovranno essere ascoltate. Ma bisognerà fare in fretta perché negli ultimi giorni altri protagonisti di quella vicenda sono deceduti, come Sabrina Minardi, che parlò di un sequestro commesso dalla banda della Magliana per ricattare il Vaticano; il giornalista Fiore Di Rienzo che ha seguito il caso Orlandi per conto di Chi l’ha visto? e il monsignor Giovanni Morandini, che riferì a Ercole Orlandi del timore che la scomparsa della figlia potesse generare una mai specificata crepa tra lo Stato Italiano e la Città del Vaticano. Una serie di decessi che vanno ad aggiungersi ai tanti personaggi che fecero la loro comparsa nei giorni della sparizione di Emanuela e che sono deceduti da tempo.
Finora, le piste seguite dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sono tre: la pista politica, la pista malavitosa e la pista erotica. La Commissione ha già escluso la pista politica, perché considerata una clamorosa messa in scena, e sta mettendo in dubbio la pista malavitosa. Esclusioni giustificate dal fatto che nessuno dei presunti sequestratori fornì mai una prova che la ragazza fosse viva e si trovasse nelle loro mani. Ecco perché Massaud si dice più convinto di un movente a sfondo libidinoso, perché è il classico delitto in cui il responsabile non ha nessuno motivo di chiedere riscatti o ricattare qualcuno.
La pista libidinosa, da quanto trapela da fonti giornalistiche, sarebbe quella maggiormente presa in considerazione da una parte dei membri che compongono la Commissione Bicamerale, anche se non si è ancora capito se con il termine “pista libidona” si intende una tratta delle bianche, uno scandalo in Vaticano o un delitto libidonoso commessi da un maniaco isolato. Quest’ultima è quella che maggiormente convince il senatore Maurizio Gasparri dopo l’audizione del giornalista Pino Nicotri, il “biografo” di Emanuela Orlandi, secondo cui Emanuela non fu sequestra da nessuno, ma morì la sera stessa della sua scomparsa dopo un reato libidinoso commesso da qualcuno che la ragazza conosceva bene e di cui si fidava.
Nicotri ha parlato in particolare di due figure indiziarie. Il primo sarebbe Mario Meneguzzi, cognato di Ercole Orlandi, salito alla ribalta della cronaca dopo la notizia diffusa dal telegiornale condotto da Enrico Mentana che, oltre a parlare di “morbose attenzioni sessuali” che l’uomo avrebbe rivolto nei confronti di Natalina Orlandi, sorella maggiore di Emanuela, aveva pubblicato l’identikit di un uomo visto a colloquio con Emanuela Orlandi fuori dalla scuola di musica da un vigile urbano. Il profilo tracciato dal pubblico ufficiale aveva una somiglianza proprio con lo zio di Emanuela. Il secondo potrebbe essere un amico di famiglia. Una persona mai inquadrata nelle indagini e che è riuscita a tenere per sé il segreto omicidiario.
Che la pista di Nicotri sia la più ovvia e concreta, è dettata da un particolare che lo stesso giornalista ha fatto notare nei suoi articoli e che presenta una sua logica: chiunque sia stato il colpevole del destino di Emanuela Orlandi, l’unica cosa certa è che costui ebbe anche l’accortezza di nascondere il corpo di Emanuela proprio per evitare che l’autopsia ed eventuali tracce lasciate sul corpo della giovane cittadina vaticana portassero a identificare una persona molto vicina alla famiglia Orlandi.