La Cassazione ha reso definitiva l’assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms, chiudendo dopo cinque anni il capitolo giudiziario sull’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il mancato sbarco di 147 migranti nell’agosto 2019.
La quinta sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso “per saltum” della Procura di Palermo contro l’assoluzione di primo grado, rendendo irrevocabile il verdetto di non colpevolezza “perché il fatto non sussiste”. Nella requisitoria, il procuratore generale aveva già chiesto di confermare l’assoluzione, sottolineando come il ricorso non dimostrasse la sussistenza di tutti gli elementi dei reati contestati .Secondo la ricostruzione illustrata in udienza dalla difesa, la sentenza di merito aveva già escluso il sequestro di persona, rilevando che alla nave della Ong spagnola erano alternative concrete e che il Place of safety non era dovuto in quelle condizioni.
L’avvocatessa Giulia Bongiorno ha definito il ricorso “totalmente infondato” e “generico”, sostenendo che i fatti fossero stati “stravolti” rispetto a quanto risultava dalle prove e dalle motivazioni della sentenza di primo grado. La pronuncia della Cassazione ha immediatamente innescato una forte reazione politica, con il centrodestra che parla di rivincita e conferma della legittimità delle scelte del Viminale nel 2019.
In Aula al Senato, la premier Giorgia Meloni ha aperto il suo intervento chiedendo un applauso per il vicepremier, definendo “infondata” l’accusa e ribadendo che un ministro dell’Interno che difende i confini italiani “fa semplicemente il suo lavoro”.Salvini, sui social, ha sintetizzato il verdetto con un messaggio che è già slogan politico: “Cinque anni di processo: difendere i confini non è reato”, accompagnando il testo con una sua foto e la scritta “assolto” a caratteri cubitali.
Dal fronte internazionale è arrivato anche il sostegno del premier ungherese Viktor Orban, che ha parlato di “caccia alle streghe politica” contro il “caro amico patriota” e di una giustizia che “ha prevalso” dopo anni di processo. Al centro del ricorso dei pm palermitani c’era la gestione dei 147 naufraghi soccorsi dalla nave Open Arms e tenuti per giorni al largo delle coste italiane, con il divieto di sbarco deciso dal Viminale nell’ambito della linea dei “porti chiusi”.
Le parti civili avevano chiesto l’annullamento della sentenza di assoluzione, sostenendo che dalle testimonianze emergesse la prova del dolo e la violazione delle norme internazionali e costituzionali a tutela della dignità dei naufraghi. La difesa ha invece insistito sull’inammissibilità del ricorso e sulla differenza tra il caso Open Arms e il precedente Diciotti, ricordando che nel primo si trattava di una nave Ong spagnola e non di un’unità della Guardia costiera italiana. Nelle motivazioni richiamate in udienza, i giudici di merito avevano indicato le opzioni alternative a disposizione dell’Ong, ritenendo così insussistente il sequestro di persona contestato al ministro.
Con il rigetto del ricorso e la definitiva assoluzione, si chiude un procedimento che ha accompagnato tutta la parabola politica di Salvini dal governo gialloverde del 2019 fino all’attuale ruolo di vicepremier nel governo guidato da Giorgia Meloni. Per il leader della Lega, la sentenza diventa uno strumento narrativo potente: la vicenda viene riletta come conferma della legittimità di una politica di controllo dei confini e come smentita delle accuse di abuso di potere. Allo stesso tempo, la decisione della Cassazione rischia di riaprire il confronto, sul piano politico e nel dibattito pubblico, sul confine tra discrezionalità dell’azione di governo in materia migratoria e tutela dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare. Per le Ong e le parti civili, resta aperto il tema delle garanzie effettive per chi è bloccato in mare per giorni, mentre sul piano giudiziario il capitolo Open Arms-Salvini si chiude qui.