Le bacchettate sulle mani del presidente di Confindustria Carlo Bonomi sulla questione dell’obbligo del green pass per i lavoratori il sindacato se le è un po’ cercate. O, perlomeno, ha peccato di ingenuità attestandosi su una posizione se non proprio ambigua perlomeno eccessivamente prudente, che ha dato al capo degli industriali il destro per piazzare il suo colpo.
Se si vuole rendere obbligatorio il green pass in fabbrica, che il governo lo stabilisca per legge. Questa era la posizione sulla quale era attestata la triplice. Posizione che ha una logica dal momento che quello di fare le leggi, che sono una fonte di diritto, e hanno una cogenza, certamente superiore a un accordo tra le parti sociali che gli industriali sponsorizzano, è compito precipuo del parlamento o dell’esecutivo attraverso la legislazione ordinaria o i decreti.
In realtà la presa di posizione sindacale nasconde la preoccupazione, tutt’altro che infondata, che i lavoratori si possano dividere su una questione tanto delicata perché è pur vero che il sindacato pubblicamente afferma che il vaccino s’ha da fare, ma tra i suoi iscritti non tutti la pensano allo stesso modo e ci sono sacche di resistenza (il 15 o addirittura il 20% degli iscritti sostiene qualcuno) indisponibili a seguire le indicazioni dei vertici.
Un accordo tra le parti sociali senza l’intervento della politica, essenzialmente per motivi di celerità, come sostiene Confindustria, corre il rischio di aprire un fronte interno che il sindacato in un momento nel quale deve mobilitare tutte le sue energie sulla salvaguardia dei livelli occupazionali, non può permettersi.
Il leader degli industriali questo l’ha capito e ha fatto la sua mossa: è incredibile che il sindacato si lasci sfuggire un’occasione storica come questa, ha fatto mostra di sorprendersi Bonomi e, già che c’era, non si è lasciato sfuggire l’occasione per sferrare un attacco anche al ministro del lavoro Andrea Orlando, reo di proporre una legge per limitare la delocalizzazione delle attività produttive, argomento quest’ultimo al quale la maggioranza degli associati a Confindustria è particolarmente sensibile.
Se questo tentativo di ricollocare le associazioni imprenditoriali al centro del dibattito politico, in quel ruolo di protagoniste che rivendicano avrà successo si vedrà. Certo è che il sindacato, se vuole stare al pari della sua naturale controparte, non dovrà limitarsi a rintuzzarne gli attacchi ma dovrà uscire allo scoperto anche a costo di un dibattito interno serrato.