Queste 6 regole di etichetta giapponesi fanno impazzire gli occidentali (2 / 2)

Sappiamo bene che i giapponesi hanno un concetto molto particolare della prossemica e degli spazi personali, ma ciò che non sappiamo (o manchiamo di valutare) è quanto rigido possa essere il protocollo sociale sotto questo aspetto. In Giappone ad esempio è considerata una grande scortesia l’atto di fissare una persona negli occhi, poiché viene inteso come una violazione diretta dello spazio personale. Ancor più deprecabile è toccare una persona, un atto che molti giapponesi intendono come una violenza vera e propria. Basti pensare che fino al 1945 persino un bacio in pubblico era considerata un’infrazione dell’ordine pubblico punibile per legge!

Ma come fanno i giapponesi a vivere in un ambiente così rigido? Semplice: sublimano moltissimo (gli appassionati di anime e manga ne sapranno sicuramente qualcosa) e colgono ogni rara occasione nella quale è concesso abbandonare queste regole per darsi alla pazza gioia senza ritegno. In particolare è consuetudine che quando si bevono alcolici le gerarchie sociali collassino: i professori possono vomitare davanti agli studenti e venire portati a casa da questi ultimi, così come il direttore di un’azienda potrà dare il peggio di sé al karaoke insieme ai suoi dipendenti mettendosi sul loro stesso piano. Il giorno dopo però è severamente vietato menzionare questi episodi per ragioni di pudore.

Uno dei gesti sociali per i quali il Giappone è più conosciuto è l’arte di inchinarsi, retaggio delle antiche tradizioni feudali ancora molto radicate nel background sociale del Paese. In particolare l’etichetta giapponese riconosce ben quattro modi diversi di inchinarsi, ed ognuno di questi ha un significato differente: l’eshaku (inchino a 15°) viene tributato a persone dello stesso rango sociale o partner d’affari, il keirei (inchino a 30°) va utilizzato nei confronti degli insegnanti e dei datori di lavoro, il saikeirei (inchino a 45°) è un gesto di scuse mentre l’inchino completo sulle ginocchia veniva un tempo tributato all’imperatore, mentre oggi viene utilizzato per le implorazioni.