Burberry, la pratica odiosa che fa infuriare tutti è uno schiaffo alla povertà (2 / 2)

Da questa notizia si possono trarre diverse conclusioni. Le grandi case di moda preferiscono bruciare i capi che in determinate zone non vendono piuttosto che mandarli agli outlet o in quei canali non del tutto legali, in cui i prezzi sono decisamente più bassi. Questo allo scopo di difendere l’esclusività del marchio, per impedire che vengano vendute a prezzi stracciati o che, peggio ancora, vengano contraffatti. Oppure, secondo qualcuno, anche per impedire che un accessorio ‘iconico’ diventi alla portata di tutti, perdendo esclusività.

Quel che è certo è che le associazioni ambientaliste e molti opinionisti in generale hanno protestato in maniera vivace. Non è accettabile, secondo loro, che dei vestiti intatti e funzionali vengano bruciati e quindi vadano a minacciare un ambiente già piuttosto rovinato dalla mano umana. Bruciare vestiti e borse vecchie di pochi anni sarebbe uno ‘schiaffo alla miseria’.

Eppure le aziende, specialmente quelle di lusso, adottano questa tattica di ‘distruzione degli stock’ in maniera sempre più frequente. A loro avviso si tratta di un’azione preventiva, volta a impedire la contraffazione e a proteggere la proprietà intellettuale. Burberry ha aggiunto che le società incaricate di bruciare i propri capi invenduti sono ‘all’avanguardia’, controllano minuziosamente il processo di combustione e ne ricavano energia. Inoltre, dal 2017, i prodotti in pelle vengono dati a Elvis&Kresse, un’azienda specializzata nel riciclo di prodotti di moda scartati.