A lanciare l’allarme è la rivista Biological Conservation pubblicando i risultati degli studi dei ricercatori del Consiglio Nazionale per le ricerche francesi (CNRS). Tali studi riguardano l’osservazione annuale dei flussi migratori degli animali dell’Antartide ed in modo particolare le grandi marce dei pinguini imperatore, animali simbolo di questo continente ghiacciato.
Di recente le migrazioni e gli spostamenti di tali animali sono variati di molto rispetto il passato e ciò deriva dai cambiamenti climatici. I cambiamenti climatici modificano l’habitat e le vie di migrazione distruggendo e sciogliendo ghiacciai, ma anche modifica le correnti fredde e calde degli oceani facendo così spostare i banchi di pesce di cui il pinguino imperatore si nutre.
Il pinguino imperatore è il più grande tra tutti i pinguini, raggiunge infatti i 122 cm di altezza e i 40 kg di peso. Si nutre di pesci antartici, krill e crostacei. Questi pinguini ogni anno effettuano lunghi viaggi, anche di 120 Km, per formare delle colonie ed accoppiarsi.
Il problema del rischio estinzione di alcune specie di pinguini era emerso già lo scorso anno grazie ad una testimonianza fotografica.
Il CNRS stima che, proprio a causa dei cambiamenti climatici, entro il 2100 si potrebbero interrompere tutte le marce migratorie del pinguino imperatore portando questa specie all’estinzione in natura per mancanza di habitat ospitali.
La specie del pinguino imperatore attualmente conta in Antartide poco più di 50 colonie e circa 600.000 esemplari, ma presto i pinguini dovranno spostarsi sempre più lontano per trovare cibo e luoghi favorevoli all’allevamento della prole. Oggi dunque si decide il destino del pinguino più grande al mondo, decidendo se inserirlo o meno in programmi di protezione ambientale e nella lista delle specie minacciate dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
Un precedente studio del 2001, pubblicato sulla rivista Nature, aveva già evidenziato un dimezzamento del numero dei pinguini imperatore nel giro degli ultimi 50 anni, dovuto alle variazioni climatiche che hanno ridotto le superfici antartiche.