Quando il selfie diventa un killer: in sei anni le vittime sono state 259

Sono in tanti a rischiare la vita per un selfie. Il fenomeno sempre più di pubblico dominio, oltre a comportare in tutto il mondo la morte di 259 persone negli ultimi sei anni, ha altresì determinato la creazione di una nuova parola, “killfie”.

Quando il selfie diventa un killer: in sei anni le vittime sono state 259

I selfie saranno anche una delle massime espressioni di vanità della società moderna, ma sono allo stesso tempo anche dei fenomeni potenzialmente letali. Scattarsi una foto in prossimità ad eventi estremi, in luoghi pericolosi, di fronte ad animali feroci, in prossimità di uno strapiombo o sfrecciando a tutta velocità con la propria auto, faranno conquistare anche più like, ma mettono a rischio la vita dei maniaci dell’autoscatto (come appurato anche da una recente discussione in Senato).

Come riportato nel Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes che riprende a sua volta uno studio condotto dall’India Institute of Medical Sciences di Nuova Delhi, nei sei anni compresi tra ottobre 2011 e novembre 2017, in tutto il mondo 259 persone hanno perso la vita mentre erano intente a scattarsi un selfie: tra questi, 153 erano uomini e 106 donne.

Il fenomeno ha assunto delle dimensioni talmente preoccupanti, tanto da comportare la creazione di un neologismo, killfie, termine nato dalla fusione di kill (uccidere) e selfie. Statistiche alla mano, l’84% delle vittime ha un’età compresa tra i 10 e i 29 anni, lasciando intendere che è proprio questa la categoria che più si lascia suggestionare dal fascino dell’autoscatto da brivido.

Catturare l’attimo ideale da postare sul web diventa così una dipendenza che può però costare caro: stando ai dati contenuti nel dossier, negli ultimi sei anni i morti per annegamento mentre si prodigavano a farsi un selfie sono stati ben 70. A seguire troviamo gli incidenti con qualsiasi mezzo di trasporto (51), le cadute da grandi altezze (48), le persone bruciate (48), fulminate da scosse elettriche (16), uccise da un’arma da fuoco (11) o da un’animale pericoloso (8).

Come concluso da Raffaella Saso, vice direttore Ricerche Eurispes, “comportamenti di estrema imprudenza soprattutto da parte dei giovani, alla ricerca adrenalina o nel tentativo di apparire audaci, sono sempre esistiti ma questo è anche un fenomeno nuovo. C’è un uso deteriore delle tecnologie: non c’è solo la sfida alla sicurezza, ma un narcisismo acrobatico, la ricerca della spettacolarizzazione, che non riguarda solo chi resta ucciso o ferito, ma anche i selfie fatti sui luoghi di tragedie”.

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