USA, i big dello sport americano contro Trump

Negli Stati Uniti, imperversa la protesta contro le continue dichiarazioni a sfondo razzista o semirazzista del presidente Trump: la rivolta di Stephen Curry, Colin Kaepernick e dei big degli sport americani mette all'angolo il presidente.

USA, i big dello sport americano contro Trump

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non deve vedersela solo contro Kim e Rohani, leader della Corea del Nord e dell’Iran: contro il presidente, ci sono tutti i big degli sport americani per eccellenza, il basket NBA, il football americano NFL, ed il baseball MLB.

Negli ultimi giorni, a prendere la scena è stato Stephen Curry, leader dei Golden State Warriors campioni della NBA che, come tradizione, ogni anno, durante la trasferta a Washington contro i Wizards, vanno a fare visita al presidente americano. Ma Curry ha annunciato il suo no all’invito alla Casa Bianca, giunto dopo la prima presa di posizione del compagno di squadra e asso del canestro Kevin Durant. Il presidente, in questo caso, ha risposto ripiccando che se Curry non vuole andare alla Casa Bianca, non ci andrà, fra l’altro irridendo il numero 30 dei Warriors.

A difesa del collega è giunto il fuoriclasse mondiale del basket, LeBron James, dalla parte prima di Obama e poi di Hillary Clinton: il fenomeno dei Cavaliers ha difeso a spada tratta Curry, rispondendo che Trump sta rovinando i rapporti fra il presidente ed il suo popolo. Curry e la sua disputa con Trump sono solo la punta dell’iceberg di un movimento di protesta contro le politiche e le dichiarazioni del presidente.

Il quarterback dei San Francisco 49ers, Colin Kaepernick (football americano NFL), durante la scorsa stagione si è messo in ginocchio durante l’inno nazionale in aperta protesta contro le politiche contro l’immigrazione ed i neri americani di Trump; da lì, nelle prime settimane della NFL 2017, i Jacksonville Jaguars e i Baltimore Ravens, tutti, compresi i loro quarterback di punta di pelle bianca Bortles e Flacco, si sono inginocchiati per protesta, fra l’altro sul palcoscenico londinese di Wembley, in un movimento fondato dallo stesso Kaepernick, che prenderà ben presto piede in tutte le franchigie NFL.

Anche la MLB, la lega di baseball, ha partecipato alla protesta con il giocatore Bruce Maxwell, degli Oakland Athletics, il primo a inginocchiarsi all’inno nazionale; lo stesso gesto, al di fuori del mondo dello sport, lo ha compiuto il grande Stevie Wonder, il quale, con tanta fatica, significato e cuore, ha dato vita alla protesta sul palco del suo ultimo concerto.

A rendere ancora più dura la vita al Presidente, ci ha pensato un atto ufficiale firmato dalla NFL e dal suo presidente, il commissioner Roger Goodell, il quale in passato si è anche battuto per i diritti dei giocatori omosessuali nella massima lega del football americano.

Goodell, con un atto dal fortissimo impatto e senza precedenti nella storia americana, ha scritto nero su bianco che “la NFL si batte per l’uguaglianza dei giocatori di tutti i colori della pelle e che Trump sta mettendo in pericolo, con le sue gravi affermazioni, “la parità di diritti fra yankees e immigrati e la convivenza civile“.

Questa reprimenda ufficiale, senza precedenti, mette sempre di più Trump ai margini dello sport americano, e della sua popolarità ai minimi storici dopo soli nove mesi dall’insediamento alla Casa Bianca.

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