La scontro tra Stati Uniti e Nord Corea è arrivato al limite: Dogana e Polizia di Frontiera (Cbp) stanno lavorando per bloccare le importazioni di pesce e altri beni prodotti da lavoratori nordcoreani in Cina.
Diversi quotidiani americani hanno reso pubblica un’inchiesta dell’Associated Press, nella quale si afferma che nelle fabbriche cinesi di lavorazione del pesce – salmoni, calamari e merluzzi – sono assunti i nordcoreani. I prodotti finiscono nei supermercati americani, come Walmart e Aldi, finanziando così, indirettamente, il regime di Kim Jong-un.
Un vero e proprio ‘esercito’ di lavoratori nordcoreani, che – tra l’altro – è tenuto in condizioni di semi-schiavitù, non può licenziarsi, e riceve solo una piccola parte dello stipendio, tutto il resto va ad alimentare le casse di Pyongyang che deve sostenere sanzioni sempre più elevate, a causa del suo programma nucleare. La Corea del Nord, grazie alle decine di migliaia di lavoratori sparsi nel mondo, ottiene indietro rimesse che vengono stimate per 200-500 milioni di dollari ogni anno, cifra che può ben coprire parte dei costi necessari a sostenere l’arma atomica.
Chris Smith, deputato repubblicano, ha reso noto che il Dipartimento del Lavoro americano ha già in mano un elenco di traffici, in 12 settori di beni, tutti esportati dalla Cina, e che quindi “la Cbp dovrebbe fermare ogni carico da questi settori”.
Uno dei portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha consigliato a tutti i Paesi di vietare alle aziende di assumere personale nordcoreano, cercando di “andare ancora più in là e respingere quello che è chiaramente una spregevole pratica che serve solo alle ambizioni nucleari del regime”.
La Cina si trova tra coloro che vogliono rispettare le nuove sanzioni. Per ora, Pechino vieta l’importazione di pesce e frutti di mare provenienti dalla Corea del Nord e, dal 2018, nessun nuovo lavoratore nordcoreano entrerà nel Paese.
Le imprese americane – ricordiamo la Sea-Trek Enterprises di Rhode Island e la Lawrence Wholesale – che ottengono i prodotti importati, si sono trovate indirettamente coinvolte nell’inchiesta. Hanno assicurato che fanno di tutto perché vengano rispettati i diritti umani e le corrette condizioni di lavoro, e si aspettano che ciò avvenga anche dai loro partner. Mitch Sarnoff ha assicurato che d’ora innanzi: “Sea-Trek non comprerà prodotti da alcuna società che usa lavoro forzato”. Così pure il proprietario della Lawrence Wholesale, il distributore alimentare della California, Mark Liszt, ha assicurato: “Siamo intermediari, cerchiamo di visitare di persona gli impianti da cui ci riforniamo, ma non è un mondo perfetto in cui possiamo recarci in ogni singolo posto”.
Il direttore del Centro Diritti Umani dell’Università di Dayton, Anthony Talbott, ha commentato quanto sta accadendo con un “Non mi stupisce affatto”, e ha ricordato che la “Nord Corea ha probabilmente il livello più alto di schiavitù di Stato al mondo, una delle principali fonti di entrate” per il regime.
Anche il senatore Democratico di New York, Chuck Schumer, pensa che Washington debba tenere fuori dal proprio Paese i prodotti dai nordcoreani: “Bisogna che l’amministrazione intensifichi le pressioni sulla Cina affinché reprima il commercio con la Nord Corea attraverso il confine”. Il senatore democratico, Sherrod Brown, insiste sulla responsabilità delle aziende che devono assicurarsi di rispettare sia le sanzioni Onu contro Pyongyang sia le leggi USA.