Un uomo thailandese di 58 anni è stato condannato a 25 anni di carcere per aver diffamato la monarchia su Facebook: esattamente la pena inflitta è di dieci anni per ognuno dei cinque messaggi da lui postati sul social network nel periodo tra il mese di luglio e il mese di novembre del 2014, considerati diffamatori per la famiglia reale thailandese.
La pena iniziale di 50 anni è poi stata dimezzata grazie al fatto che Theinsutham Suthijittaseranee, questo il nome dell’accusato, si è dichiarato colpevole.
In osservanza di quanto imposto dalla legge marziale, Suthijittaseranee è stato giudicato da un tribunale militare e la sentenza emessa è inappellabile.
“Il detenuto ha insultato l’amata e venerata monarchia thailandese”, ha affermato il giudice durante l’udienza tenutasi a porte chiuse. “La pena di 25 anni è una delle più dure di cui abbiamo conoscenza. E’ eccezionalmente severa e sproporzionata”, ha dichiarato Sam Zafiri, direttore regionale della International Commission of Jurists (CIJ). “Data l’età del convenuto, si avvicina ad essere una condanna a vita”, ha aggiunto.
Amnesty International ha giudicato la sentenza “assurda“, un segnale inquietante che mostra come reagiscono le autorità thailandesi con chi non è d’accordo con loro, e ha chiesto di metter fine ai procedimenti penali per lesa maestà, che sono notevolmente aumentati da quando, lo scorso maggio, i generali monarchici hanno rovesciato i resti del governo del primo ministro Yingluck Shinawatra, tanto popolare tra la popolazione medio-bassa quanto detestato dalla borghesia di Bangkok.
Le autorità thailandesi hanno annunciato ieri che la legge marziale sarà sostituita con un decreto che riconoscerà pieni poteri al leader della giunta militare, Prayuth Chan-ocha: si tratta dell’articolo 44 della Costituzione ad interim, già soprannominato “la legge del dittatore”.
La legge contro il crimine di lesa maestà in Thailandia è una delle più severe al mondo, e dal colpo di Stato del 22 maggio scorso, i militari hanno fatto della lotta contro questo reato il loro cavallo di battaglia, in un clima di forte incertezza per la successione al trono del re Bhumibol Adulyadej, di 87 anni: circa 49 persone, tra arrestati, condannati o in attesa di giudizio, sono state perseguite dal mese di maggio del 2014 in nome di questa legge.