Una giovane donna nel Sudan è stata condannata a morte tramite lapidazione per adulterio, il primo caso del genere per il Paese in una decina di anni. Protagonista della terribile vicenda la 20enne Maryam Alsyed Tiyrab, che è stata arrestata lo scorso mese dalla polizia dello stato White Nile del Sudan.
Maryam si era separata dal marito, ed era tornata a vivere nella casa della sua famiglia di origine. È qui che la polizia l’ha arrestata, per poi interrogarla in caserma e estorcerle una falsa confessione illegale. Durante il processo, la giovane non ha avuto diritto ad un avvocato, ed è iniziato senza che ci fosse una denuncia formale della polizia, che, secondo quanto sostenuto dai gruppi di difesa dei diritti umani, è irregolare.
La condanna, pronunciata dalla Corte Criminale di Kosti, è arrivata il 26 giugno. Secondo la Legge Islamica, applicata in Sudan, i crimini Hudud portano a pene come l’amputazione delle gambe e dei piedi, la fustigazione e, in rari casi, la morte. Maryam ha annunciato che farà ricorso contro la decisione del tribunale, sperando che la Corte Superiore ribalti la sentenza pronunciata.
Il Centro africano per la giustizia e gli studi sulla pace, che ha base in Uganda, ha chiesto il rilascio “immediato e senza condizioni“ per la donna, ed ha accusato il governo sudanese di violare la legge internazionale e locale. Applicare la pena di morte per lapidazione per il crimine di adulterio è “una grave violazione della legge internazionale, del diritto alla vita e della proibizione di tortura e punizioni crudeli, disumane e degradanti”, ha detto il centro.
La notizia della durissima condanna per la giovane donna porta sconcerto e paura per il Sudan, con il timore che il Paese inizierà a ridimensionare i diritti delle donne dopo che, lo scorso anno, l’esercito ha preso il potere. L’ultimo caso noto di una donna condannata a morte per adulterio risale al 2013 nello stato South Kordofan, ma all’epoca la Corte Superiore annullò la decisione.