Spagna: le coppie lesbiche non possono avvalersi della fecondazione assistita

In Spagna la denuncia di una coppia lesbica per non poter proseguire il trattamento di fecondazione assistita pubblica ha acceso forti polemiche. Lo ha stabilito un Ordine ministeriale, accusato di violare il sistema universale dei diritti umani

Spagna: le coppie lesbiche non possono avvalersi della fecondazione assistita

Una coppia spagnola formata da due donne ha deciso di denunciare il fatto che sia stato loro impedito di proseguire il trattamento di fecondazione assistita iniziato mesi prima, a causa dell’approvazione dell’Ordine Ministeriale 2065/2014 che limita il finanziamento delle tecniche di riproduzione assistita alle persone che, “dopo un minimo di 12 mesi di relazioni sessuali con coito vaginale senza utilizzo di metodi anticoncezionali”, non siano riuscite a concepire un bambino. 

In realtà, però la legge 14 del 2006 (tra l’altro di grado più elevato della direttiva 2065), in tema di tecniche di riproduzione umana assistita, stabiliva che questi trattamenti resi dalla sanità pubblica si potessero ricevere “indipendentemente dallo stato civile e orientamento sessuale”.

Mariela e Lourdes che vivono ad Aranjuez, un comune di Madrid, sono solo due delle tante persone colpite da questo controverso decreto, e hanno deciso di affidarsi all’avvocato Paula Ibáñez Díez per presentare un reclamo per via amministrativa, e eventualmente passare al contenzioso in un successivo momento.

Questo decreto di fatto impedisce alle donne sole o con partner femminile o coppie eterosessuali che non praticano il coito di ricorrere alla procreazione assistita pubblica, e viola, pertanto, il sistema universale di tutela dei diritti umani, il diritto dell’Unione Europea, e in termini di legislazione nazionale, i diritti sanciti dalla Costituzione spagnola, come quello dell’intimità personale e familiare (dovendo il paziente dichiarare il proprio orientamento sessuale), quello della salute o della certezza del diritto, in quanto si tratta di un ordine di rango più basso rispetto alla legge 14/2006, ha dichiarato l’avvocato delle donne.

“Quando abbiamo deciso nel 2013 che volevamo essere madri hanno respinto la nostra richiesta perché avere partner di sesso femminile non era ammissibile”, racconta Mariela. Dopo alcuni mesi da questa delusione, le donne hanno deciso di riprovarci, ma Mariela si è presentata come donna single, così che le fu possibile iniziare il trattamento.

Purtroppo i primi tre cicli di inseminazione artificiale non hanno dato i risultati sperati e Mariela avrebbe potuto sottoporsi ai tre cicli di fecondazione in vitro, come previsto dalla legge; ma nell’attesa (la lista di attesa per questa tecnica era di 6 mesi) la legge è cambiata, e lei è stata cancellata dalla lista d’attesa.

Molte le polemiche sollevate da questo caso di evidenti discriminazione anche economica, perché è ovvio che le lesbiche o le donne single che desiderino ricorrere alla fecondazione assistita nella sanità privata potranno farlo solo se avranno a disposizione tra i 2 mila e gli 8 mila euro per pagare il trattamento.

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