Ci troviamo in un periodo tetro e buio, periodo in cui il timore della diffusione del virus Covid-19 rende praticamente non attuabili tutte le manifestazioni del popolo sovrano russo, periodo che, a qualcuno, potrebbe addirittura fare molto comodo. Infatti, i giornalisti e gli oppositori di Putin lo chiamano “colpo di stato”. Stiamo parlando della tanto discussa proposta di legge, la quale contiene ben quattrocento modifiche alla solida Costituzione russa.
Fondamentale tra questi è l’emendamento che azzera il mandato come presidente di Vladimir Putin. Il famoso e criticato leader russo, ormai sessantasettenne, è stato presidente per ben 2 volte dall’anno ’00 all’anno ’08 dopo 2 mandati quadriennali ciascuno. Dopo ciò, il tanto agognato mandato presidenziale russo è stato poi eccezionalmente esteso a 6 anni ed il leader è stato rieletto nell’anno ’12 e nel ’18. Quindi, l’attuale legge prevede che il leader deve dimettersi nel ’24.
Qualora la legge venisse definitivamente approvata dal popolo, Putin rimarrebbe in carica per altri 2 mandati di 6 anni, cioè fino all’anno ’36, in quanto gli sarà concesso a pieno titolo di poter partecipare alle elezioni per 2 volte dopo l’anno ’24. Vladimir Putin ha ratificato il provvedimento sabato scorso, sostengono fonti ufficiali del Cremlino, soltanto 3 giorni dopo aver affrontato il parlamento russo con 1 singolo voto contrario.
Dopo questa approvazione, fatta dalla onorevole Corte costituzionale russa, seguirà un referendum popolare che – per ora – è stato fissato per il ventidue aprile 2020. All’interno della legge prima citata, sarebbero contenute norme che rafforzerebbero nuovamente il potere del presidente Putin: inoltre, vieterebbero a tutti gli effetti il matrimonio gay e considererebbero la religione un valore fondamentale e primario in Russia.
Inoltre, la controversa proposta prima citata, evidenzia in modo inequivocabile la più che voluta superiorità del diritto russo in confronto alle norme internazionali. Ciò riflette chiaramente l’irritazione e l’inquietudine del Cremlino verso la Corte europea dei diritti dell’uomo e di altre istituzioni che hanno spesso emesso sentenze negative nei confronti della Russia e dell’operato del suo presidente, Vladimir Putin.