Pakistan, impiccato dopo 15 anni: “Confessò sotto tortura”

E' stato giustiziato Aftab Bahadur Masih. Nel 1992, a soli 15 anni, confessò un triplice omicidio sotto tortura, e le stesse persone che lo accusarono denunciarono poi di essere state torturate dalla polizia per testimoniare contro di lui. In rivolta le associazioni per i diritti umani

Pakistan, impiccato dopo 15 anni: “Confessò sotto tortura”

E’ stato impiccato Aftab Bahadur Maish, il 38enne che nel 1992 venne arrestato per l’omicidio di tre persone quando aveva soltanto 15 anni. La condanna è stata eseguita nel carcere di Lahore, situato nel Pakistan orientale. Il caso era salito alla ribalta delle cronache mediatiche, diventando una delle più grandi crociate combattute dagli attivisti per i diritti umani in Pakistan, a causa della sua natura incredibilmente torbida.

Maya Foa, responsabile della sezione di Reprieve contro la pena di morte, ha commentato così l’uccisione di Aftab: “Questo è veramente un giorno vergognoso per il sistema giudiziario del Pakistan”. Il perché di tanta indignazione nei confronti dell’uccisione di un reo confesso di triplice omicidio, è presto spiegato: fin dall’inizio era chiaro che in quel caso qualcosa non quadrava, e che la confessione non fosse esattamente limpida.

L’uomo confessò infatti sotto tortura, e gli stessi testimoni che lo incastrarono ammisero successivamente di essere stati anch’essi torturati e costretti a denunciarlo, ritrattando in seguito la propria testimonianza. Per questa ragione, Aftab Bahadur Maish era riuscito a scampare già una volta alla prima sentenza di morte. Ma dopo 22 anni di carcere, è infine arrivato l’epilogo che tutti speravano di riuscire a scongiurare.

Struggente la lettera scritta da Aftab prima della sua esecuzione, proposta dal sito del Corriere:

“Ho appena ricevuto la notizia che sarò impiccato mercoledì 10 Giugno. Io sono innocente, ma non credo che questo farà alcuna differenza. Non è la prima volta che ricevo un avviso di morte. Negli ultimi 22 anni di prigione non so nemmeno dire quante volte ho pensato di stare per morire. Cominci il conto alla rovescia e ti fa male, i nervi sono profondamente scossi. Penso che non ci sia nulla di peggio di sapere di stare per morire, ed aspettare quel momento in una cella. E’ da quando ho 15 anni che vivo in un limbo tra la vita e la morte. Faccio qualsiasi cosa per evadere dalla mia miseria, sono un amante dell’arte da quand’ero bambino e così ho ripreso a dipingere in cella. Aver dovuto ricordare di quando sono stato torturato dalla polizia per confessare un crimine che non avevo commesso mi ha fatto rivivere quei momenti, e li ho tradotti in quadri. Spero di non morire mercoledì. Non ho soldi, e posso affidarmi solo a Dio e agli avvocati che fanno volontariato. Non ho perso la speranza, anche se la notte è molto scura”.

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