“Mi chiamo Saeed e non sono un terrorista”. Pazzesca storia dall’India

In tutto il mondo sono diffuse le vendette attuate tramite i nuovi mezzi di comunicazione e l'India, sotto quest'aspetto, non diverge molto: a Mumbai, ad esempio, un pover uomo ha rischiato di passare per terrorista a causa di un pessimo scherzo su Whatsapp...

“Mi chiamo Saeed e non sono un terrorista”. Pazzesca storia dall’India

Più volte, nel corso dell’ultimo anno, abbiamo avuto modo di vedere come un banale messaggio digitale abbia potuto sconvolgere – anche in modo drammatico – la vita di alcune persone. A quanto pare, però, i sempre più numerosi inviti ad usare con cautela i nuovi strumenti di comunicazione non hanno sortito molto effetto se un uomo, in India, per colpa di una ritorsione, ha rischiato persino di vedersi etichettato come “terrorista”!

L’episodio che vi raccontiamo quest’oggi risale a un paio di settimane fa (22 Settembre) ed è accaduto in un quartiere periferico di Mumbai, la città più popolosa del continente indiano (12.478.447 di abitanti).

Quivi, in quella che si pensava potesse essere una mattinata qualunque, Saeed Sher Ali Khan è stato avvertito da un amico che, proprio in quelle ore, su Whatsapp, circolava un messaggio nel quale Saeed, appunto, veniva definito un “pericoloso terrorista”: in questo inquietante “alert”, vi era proprio la foto del malcapitato, ritratto con un conoscente, e l’invito a fermarlo per farlo arrestare dalla polizia.

Di lì a qualche minuto, è stata l’Apocalisse per Saeed: fior di parenti, amici, e semplici conoscenti, lo hanno tempestato di telefonate per chiedergli che razza di legame vi potesse essere tra lui e le organizzazioni terroristiche. Saeed, ovviamente, lì per lì, ha cercato di chiarire l’equivoco e di rassicurare tutti ma, nel frattempo, la tensione era entrata anche nel suo nucleo famigliare visto che i suoi figlioletti, in lacrime, gli chiedevano cosa volesse dire quella parola così terribile e perché l’avessero appioppata proprio al loro papà.

Pensa che ti ripensa, a Saeed – che viveva in una povera casa in affitto – è venuto in mente che l’unica persona con la quale aveva avuto a che dire, negli ultimi tempi, era stato nientemeno che il suo padrone di casa, tale Salaam Younis Sheik, per alcune spese extra. Questi, evidentemente per ritorsione, ha messo in atto – per vendetta – quello che, forse, riteneva potesse essere solo uno scherzo: diffondere, appunto, su Whatsapp – ai 4 venti – l’insinuazione che il suo inquilino fosse un terrorista. Male che fosse andata, si sarebbe tolto l’incomodo ospite di casa…

Ovviamente, Saeed – dopo averlo scoperto – si è recato alla polizia per sporgere denuncia ma è stato ignorato e non gli è rimasto altro che accamparsi, con la famiglia, di fronte al distretto di polizia, con tanto di cartello che diceva “Sono Saeed Sher Ali Khan e NON sono un terrorista”. Sotto la morsa della sopraggiunta attenzione mediatica, gli uomini delle forze dell’ordine hanno preso in consegna il suo caso e hanno cercato una qualche conciliazione tra i 2 uomini ma, di fronte all’impossibilità della cosa, non hanno potuto far altro che consigliargli di rivolgersi ad un tribunale per ottenere la giustizia che meritava.

Un tipico caso di diritti (negati) che non riescono a tenere il passo con la velocità con cui certe tecnologie si diffondono in alcune parti del mondo?

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