La Cina sta sperimentando una nuova forma di avvicinamento agli altri paesi colpiti dal coronavirus, soprattutto a quelli che non hanno le risorse per affrontare la pandemia. È appena nata, ma già ha un nome: gli esperti la chiamano la “diplomazia delle mascherine”, la nuova arte made in Cina, e si riferisce alle molteplici donazioni di attrezzature mediche, invio di esperti e consigli per combattere il Covid-19.
Una strategia semplice, economica ed efficiente, una sottile forma di propaganda. In pochi mesi, il paese è passato dall’essere l’origine e il centro di una malattia sconosciuta ad esaltare le sue vittorie contro il nuovo patogeno e ad offrire aiuto ad altri.
Uno dei primi paesi al quale il Dragone cinese ha offerto sostegno è stato il Venezuela, con la consegna di circa 4.000 test poco dopo il rifiuto da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a concedere i 5 miliardi di dollari richiesti dal presidente Nicolas Maduro. Il sostegno di Pechino è stato ricevuto con entusiasmo anche da Bolivia, Ecuador, Argentina e Cile, che hanno persino inviato esperti in Cina per studiare la loro risposta all’epidemia.
Mentre politici e alcuni esperti consultati dalla BBC Mundo hanno elogiato questo spirito assistenziale cinese, altri ritengono che le azioni della Cina “non siano altruistiche“. “Non credo che lo scopo della Cina sia davvero quello di essere il salvatore dell’America Latina. Se dovesse accadere, ovviamente, se ne prenderanno il merito. Ma penso che i loro interessi siano altrove“, afferma Eric Farnsworth, ex funzionario del governo degli Stati Uniti e vice presidente del Consiglio delle Americhe.
La diplomazia delle mascherine gli consentirebbe di ripulire la sua immagine dopo aver nascosto la portata dello scoppio della polmonite atipica che si stava diffondendo a Wuhan molto prima della comunicazione all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma anche di legare a sè la nazione beneficiaria di questi aiuti e di potenziare il suo ruolo sulla scena internazionale.
L’America Latina e l’Africa sono in cima alla lista. L’Europa, più solida e dotata di istituzioni comunitarie, ha già intuito le intenzioni nascoste di Xi Jinping di intervenire in aree di estrema sensibilità. La vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, ritiene sia una priorità impedire alle società europee, ora vulnerabili, di cadere nelle mani degli investitori cinesi. I governi dei paesi europei dovrebbero acquistare quote di società nazionali al fine di affrontare la minaccia di possibili acquisizioni da parte di investitori cinesi o società statali sostenute dal governo di Pechino: “Le persone sono più che benvenute nel fare business in Europa ma non con mezzi competitivi iniqui“, ha dichiarato.